Collera e benevolenza

Un aspetto peculiare della visione classica cinese, e del taoismo in particolare, è che le emozioni siano il fondamento ma anche il risultato del nostro muoverci nel mondo: da un lato fare esperienza vuol dire provare emozioni e dall’altro le emozioni che proviamo, stimolati dalle esperienze della vita,  ci consentono di capire qualcosa di noi che ci sfuggiva e che era ancora inespresso.

Attraverso le emozioni tiriamo fuori qualcosa che ci era occulto, potendo scoprire lati della nostra personalità che non conoscevamo ed anche confrontarci con questioni irrisolte della nostra vita che erano in uno stato di latenza inconsapevole. Provare emozioni è quindi ritenuto sinonimo di vivere, e per questo motivo non vi sono emozioni che siano di per sé sbagliate o negative, come spesso tendiamo a credere.

L’altro aspetto sorprendente della visione taoista è che la nostra capacità di vivere le emozioni che abbiamo dentro, di esprimerle evitando lo stato di soppressione o repressione, ci consenta di risolverle; e questa loro risoluzione ci consente di muoverci verso lo sviluppo di quelle che sono definite “De”, “virtù”, termine che ha però significato in parte diverso dal concetto di virtù della nostra tradizione occidentale. In quest’ottica le virtù sono il risultato del nostro processo emotivo vissuto consapevolmente.

Le 5 virtù classiche antiche sono: benevolenza/rettitudine morale/rispetto e comprensione degli altri/pietà o compassione/fede o fiducia.

Ognuna di queste 5 virtù è associata ad uno dei 5 organi e ad una delle 5 emozioni di base della tradizione cinese (collera, sovreccitazione o gioia, riflessione, tristezza e cordoglio, paura) secondo questi abbinamenti:

Collera

Sovreccitazione

Riflessione

Tristezza

Paura

Fegato

Cuore

Milza

Polmoni

Reni

Benevolenza

Rettitudine

Rispetto e comprensione

Pietà

Fede o fiducia

Proviamo ora ad analizzare questo collegamento partendo da una di queste emozioni/virtù: la collera che diviene benevolenza. Può forse risultare difficile da comprendere il fatto che la collera vissuta pienamente possa portare allo sviluppo di benevolenza.

Quando siamo in contatto con la nostra collera, questo ci porta a percepire dentro di noi una furia distruttiva, spesso anche un senso di frustrazione e impotenza, una sorta di “sentirsi ingabbiati e prigionieri” (l’ideogramma di “Nu”, collera, indica una donna in catene), ci sentiamo in preda a qualcosa più forte di noi: il fiume è in piena e non c’è modo di contenerlo negli argini, la freccia è partita dritta verso il suo bersaglio, il nostro corpo si contrae e freme senza che noi lo si voglia. Siamo spaventati da quello che il nostro corpo sta esprimendo, ci sentiamo in qualche modo posseduti da qualcosa che non riconosciamo come parte di noi ma che lo è profondamente. Qualcosa dentro di noi è stato represso troppo a lungo e deve potersi esprimere, ma temiamo il modo in cui si sta esprimendo.

Con la collera emergono tutta una serie di emozioni e sensazioni che esprimono la condizione profonda di cui non riuscivamo a liberarci. Possono essere tante e diverse per ognuno: senso di fallimento, disistima di se stessi, voglia di distruggere e annientare, senso di impotenza e frustrazione, paura immotivata, una grande stanchezza esistenziale, voglia di non esistere, di annullarsi, di cancellare tutto.

Poi forse qualcosa dentro di noi ci guida a confrontarci con questa onda violenta e dirompente senza che distrugga e ci distrugga. Abbiamo raggiunto un culmine e da lì inizia una discesa: il corpo si decontrae, la collera lascia spazio ad un senso di sfinimento e a volte di depressione. Ci detestiamo per quello che abbiamo mostrato e agito. Subentra una sorta di quiete da sfinimento, la quiete dopo la tempesta; ci sentiamo stanchi di una stanchezza antica, spesso demoralizzati. Non ci piace quello che abbiamo espresso e facciamo fatica a riconoscerlo come parte di noi; ma se riusciamo a fare questo sforzo rimanendo senza giudizio, se riusciamo a non denigrarci e biasimarci per quello che abbiamo agito, possiamo entrare in contatto profondo con i sentimenti che tutta quella collera stava cercando di farci vomitare fuori e davvero allora ne siamo liberi. Non si tratta di una comprensione mentale ma “integrale” di corpo, mente e Cuore. Qualcosa che pesava su di noi e ci limitava e bloccava se ne è andato, davvero e per sempre.

Ecco che allora si fa spazio un senso di liberazione e di leggerezza. Attraverso l’espressione della collera che avevamo represso o soppresso, ci siamo  tolti un peso di dosso, un vero macigno a volte, e possiamo allora guardare al mondo con occhi diversi, possiamo guardare alle persone attorno a noi con occhi diversi, anche alla persona verso cui abbiamo diretto la nostra collera. Ci siamo liberati di una catena, ci siamo alleggeriti e il nostro Cuore può ora aprirsi e l’aprirsi del Cuore porta ad una reale condizione di quiete: avendo percepito e accettato dentro di noi il potere devastante delle emozioni ed essendo riusciti a non giudicarci e denigrarci, ecco che possiamo avere lo stesso atteggiamento verso gli altri. Ecco il sorgere della benevolenza, del voler bene agli altri cosi come siamo riusciti a voler bene a noi in un momento in cui non ci siamo piaciuti. Ecco che ci apriamo agli altri senza il peso delle catene di prima.

L’organo Fegato è associato alla collera e il suo canale termina al petto, collegandosi con il Cuore a cui può portare tutti i pesi di cui non ha saputo liberarsi. Ma un ramo del suo canale sale anche in alto fino alla sommità della testa, perché la natura profonda dell’energia del Fegato è questo moto di ascensione e di liberazione. Liberare la collera per liberarci della collera consente allora al Fegato di esprimere il suo moto naturale, che è di leggerezza creativa, di passo leggero, di volo delicato che porta lontano, invitando il Cuore ad aprirsi al mondo con benevolenza.