Conversazione sul taoismo di Franco Bottalo
Quelle che seguono sono le trascrizioni di due
conversazioni sul taoismo tenute da Franco Bottalo
Conversazione sul taoismo di Franco Bottalo – seconda serata
Inizio facendo una brevissima ripresa di alcuni punti fondamentali. Non ripeto ciò che ho fatto la volta scorsa. Voglio toccare due o tre temi che sono veramente fondamentali per quanto riguarda il taoismo. La volta scorsa abbiamo fatto un primo quadro generale su cos’è il taoismo. L’idea, invece, di questo incontro è di affrontare un tema specifico che è quello dei Nove Palazzi, termine un po’ misterioso che poi andiamo a svelare. La prima cosa che tengo a dire è che la mia conoscenza limitata del taoismo deriva dall’insegnamento del maestro Jeffrey Chong Yuen, che è un importante maestro della religione taoista, oltre che essere un grande maestro di medicina cinese, un terapista e che io seguo dal 1997. Proprio per questo la mia conoscenza del taoismo è molto pratica, molto poco teorica. Non mi sono mai messo a studiare i testi taoisti o trattati o commentari ai testi taoisti, ma è stato soprattutto uno studio, attraverso l’insegnamento orale di questo maestro, che inserisce il taoismo negli insegnamenti di qualunque ambito, perché l’idea è che una visione del mondo si trasmette con la terapia, nell’insegnamento e in qualunque attività. L’altra volta abbiamo accennato a tre temi fondamentali del taoismo, tre principi. Uno di questi è l’idea dell’accettazione. È la capacità di accettare le cose per quello che sono. L’altro tema, che è legato a questo, è il tema del non giudizio. C’è l’idea che la vita, di base, è conflitto e anche soluzione del conflitto. Tendenzialmente il conflitto nasce nel momento in cui noi ci poniamo in un atteggiamento di giudizio. Ci sono le cose che ci piacciono e quelle che non ci piacciono. Un mal di denti non ci piace. Siamo a vedere il tramonto con il nostro amore, ci piace. Rischiamo che, mentre vediamo il tramonto, già stiamo soffrendo perché pensiamo che domani non saremo più qui a vedere il tramonto. Chiaramente soffriamo mentre abbiamo il mal di denti. C’è quest’idea di non giudizio che vuol dire non giudicare gli altri ma anche non giudicare se stessi. Si lega molto all’idea dell’accettazione. Da questi due consegue il concetto di quello che viene definito come non violare, non essere invasivi, non andare a ricercare. Il taoismo tende a far poco proseliti. Non c’è l’idea di propagandare e di diffondere, c’è molto invece l’idea, che peraltro c’è anche in altre tradizioni buddiste, di passare qualche cosa quando c’è una richiesta. Ognuno è su un suo percorso, su un suo cammino e ogni cammino va rispettato, non va forzato.
L’altro tema trattato la volta scorsa è l’idea dell’ideogramma da cui deriva il termine taoismo o daoismo, perché c’è questo suono che è un po’ a metà tra la d e la t, e che costituisce un po’ la base di tutti questi insegnamenti. Avevo analizzato questo ideogramma di Tao (Dao). È composto di due parti, la parte di sinistra indica camminare e più specificamente camminare speditamente, avendo chiara la direzione, come un lungo passo. Quando uno fa i passi lunghi, è perché sa dove sta andando. In quest’altra parte, che globalmente indica la consapevolezza, c’è una testa. Aggiungendo elementi passiamo da un occhio, quindi vedere le cose, poi la testa e la consapevolezza. C’è l’idea di un percorso consapevole. La vita è un cammino e in questo cammino quanto più siamo consapevoli tanto più siamo in grado di portarlo a compimento. Sarà il grosso tema che vedremo oggi parlando dei Nove Palazzi. Questo molto sinteticamente, non è quello che abbiamo detto la volta scorsa perché abbiamo detto un mucchio di cose, però sono due o tre punti fondamentali per capire il tema che andiamo ad affrontare questa volta.
Cominciamo a trattare questo tema dei Nove Palazzi. Il termine è un po’ misterioso. Per capire questo concetto dei Nove Palazzi il primo aspetto da avere chiaro è quest’idea, che c’è molto nel taoismo ma che in termini leggermente diversi c’è in tutte le tradizioni, della vita come il compimento di un destino. C’è quest’idea di un lavoro che non è compiuto. C’è quest’idea che siamo qui per imparare qualche cosa. Avevamo sfiorato la volta scorsa il tema del concepimento come l’idea di un’anima che coglie, nell’unione fisica di un uomo e di una donna, l’opportunità per portare avanti un percorso per conoscere le cose che ancora non sa, per fare delle esperienze che ancora non ha fatto. Questo termine nella tradizione indiana e buddista normalmente viene tradotto con karma o kamma, secondo del sanscrito o di altre definizioni. Nel taoismo è simile, ma il termine che si usa è lavoro non compiuto. Il motivo per cui siamo tutti qui, non qui in questa sala soltanto, ma qui al mondo è che non abbiamo fatto i compiti bene nelle vite precedenti. Oppure li abbiamo fatti bene, abbiamo superato un po’ di esami, ma non siamo ancora laureati o diplomati o quello che volete. Abbiamo ancora qualche cosa da imparare, come anima; ecco l’idea di un lavoro non compiuto, di un lavoro non finito. Dobbiamo ancora realizzare ciò che l’anima non ha ancora realizzato. C’è quest’idea che la vita ci offre un’opportunità, un ulteriore opportunità per apprendere. Naturalmente, a volte, il modo in cui ci offre delle opportunità ci sconvolge un pochino. La nostra idea d’opportunità è quando tutto va bene; spesso la vita non ci fa andare tutto bene, per cui, a volte, sentiamo veramente che questa malattia devastante non la sentiamo come una grande opportunità o questa miseria in cui vivo non la sento come un’opportunità o questo senso di solitudine che ho non lo sento come una grande opportunità. Vediamo che questi sono proprio i Nove Palazzi. Qui opportunità vuol dire che c’è quella cosa che, per quanto dura, per quanto incomprensibile per me, per quanto a volte mostruosa possa apparire o meravigliosa altre volte (per fortuna anche), è una sorta di lezione attraverso la quale io posso imparare qualcosa e dalla quale mi posso diplomare per passare a qualcosa d’altro. Per fare questo abbiamo determinati strumenti. Questi strumenti vengono definiti nel pensiero taoista come la nostra natura. A volte si dice che il taoismo è molto legato alla natura, però non soltanto perché gli antichi taoisti andavano in giro per i boschi, ma il concetto di natura vuol dire anche ciò con cui siamo nati. Le predisposizioni naturali che ognuno di noi ha, sono anche le nostre risorse, sono anche gli strumenti che abbiamo per portare a compimento il nostro destino. Chi di voi ha studiato medicina cinese conosce alcuni di questi strumenti, in senso energetico, o gli otto canali Straordinari, gli organi e i visceri. In un senso molto più lato il fatto di essere nati maschio o femmina, il fatto di essere nati con un certo temperamento, con una certa costituzione; il fatto di avere certi punti di forza nel carattere come nel fisico o certi punti di debolezza nel carattere come nel fisico rappresenta gli strumenti che la vita ci dà per portare avanti il nostro cammino. Il senso della vita è di vivere appieno il nostro potenziale, di passare attraverso le porte strette, che a volte ci dà, per scoprire che dietro queste porte strette ci sono dei locali molto ampi, ci sono dei palazzi. Per compiere e realizzare il nostro destino ci sono certe lezioni che dobbiamo imparare.
I temi principali della vita in questa tradizione sono stati riassunti in nove, esattamente otto più uno temi. Questi otto temi, queste lezioni sono definite i Nove Palazzi. I nove temi principali della vita a volte sono definiti le sfide della nostra vita. Dipende dall’approccio di chi si confrontava con queste cose. Se abbiamo un approccio un po’ più da guerriero, le chiamiamo sfide, se abbiamo un approccio di tipo un po’ diverso le chiamiamo opportunità. Questi sono i Nove Palazzi – “Jiu Gong”, che ora vediamo uno per uno. Jiu vuol dire nove e gong vuol dire palazzo. I Nove Palazzi sono qualche cosa che troviamo anche nelle persone che vi leggono il destino, che vi leggono la mano non soltanto in oriente, anche in occidente. Vi dicono: salute, ricchezza, prosperità, figli. Visti così, mi ricordo che la prima volta che li ho visti mi sono chiesto: ma cos’è questa cosa? In realtà c’è un significato molto sottile e molto profondo in queste tematiche che poi sono diventate anche qualche cosa, usata in un altro modo. Immaginate in questo schema che parte da salute e gira, secondo queste frecce. Parte dal tema della salute. C’è una prima triade: salute, abbondanza (ricchezza) e generosità. Questa prima triade è qualcosa che dipende essenzialmente da noi. Spesso sono chiamati i tre tesori che la vita ci dà. I successivi cinque hanno molto a che fare con noi che ci mettiamo in relazione con il mondo. L’ultimo è chiamato casa ha un significato ancora particolare. Questi nove si possono dividere in tre più cinque più uno. I primi tre sono centrati essenzialmente su di noi. I successivi cinque sono legati alla relazione e a cosa succede nella relazione con gli altri e con il mondo. Poi c’è la casa che è il punto di ritorno. L’ultimo di fatto non è un tema di lavoro, ma è la conclusione del percorso fatto nelle nove case, nei Nove Ppalazzi. Per capire il significato, la cosa più semplice è analizzarli uno per uno. Il significato generale però è questo. Questi nove temi rappresentano le nove lezioni fondamentali della vita. Il punto importante è cercare di chiedersi quali sono i temi della mia vita o quali sono stati i temi della mia vita. Non è che ognuno di noi è coinvolto in tutti questi temi. Può darsi che il nostro tema sia uno solo o siano due o tre o che un periodo della vita sia stato un certo tema e poi si sia spostato su un altro.
Per capire meglio questo concetto incominciamo ad affrontare i singoli palazzi, partendo da quello della salute che è considerato non a caso il primo perché è considerato la base di tutte le altre categorie. Salute può essere visto in vari modi. C’è una componente che è la salute fisica, questo vale poi per tutti i palazzi. Molti di voi qui hanno come tema della propria vita il palazzo della salute, anche se godono magari di buona salute, perché molti di voi sono terapisti, lavorano con gli altri. Nel vostro percorso c’è di occuparvi della salute degli altri. Terapisti, medici sono persone che hanno come tema importante il tema della salute. Può darsi che qualcuno abbia o abbia avuto il tema della salute come proprio palazzo in senso fisico perché la sua vita è stata costellata di malattie. Può darsi che qualcuno, al contrario, possa dire: fin qui mi ricordo che dieci anni fa ho avuto il mal di denti una volta, ventidue anni fa avevo quel dolore al gomito. Evidentemente la salute non è un tema di lavoro della sua vita. Forse l’aveva già compiuto la vita precedente, si era già diplomato sul tema salute nelle vite precedenti e quindi non c’era bisogno di tornarci in questa. L’idea della salute intesa come salute fisica è soltanto il primo aspetto. Salute in un senso più vasto è avere un senso globale di vigore, di forza, di benessere. In un terzo livello più spirituale è riuscire a sentire che ogni esperienza che la vita ci offre è essenzialmente un’esperienza di guarigione, a prescindere da quanto può risultare difficile quanto ci sta accadendo in quel dato momento, in quel dato periodo. Non è più questione di stare bene fisicamente, ma di sentire che quello che ci sta accadendo è un processo che ci fa andare avanti e non qualcosa che stiamo subendo e dal quale non sappiamo come uscire, dove andare, che cosa fare. Nel concetto di salute c’è l’idea di riuscire ad arrivare a comprendere, eventualmente anche a trascendere, l’esperienza che noi stiamo vivendo e che in questo momento stiamo vivendo come malattia. Molti maestri spirituali o grandi guaritori sono anche morti di malattie. Pensiamo ad esempio al Dalai Lama, persona con un’energia enorme, ma da indicazioni date sembra che non abbia una salute così eccezionale, però questo non gli impedisce di sentire che l’esperienza che vive sia una grossa esperienza di guarigione. Quindi è questo senso di riuscire a comprendere l’esperienza che sto vivendo. Sono vari modi di leggere l’idea di salute. Uno può chiedersi, per prima cosa, rivolto verso se stesso: nella mia vita questo è un tema dominante o un tema parziale o un tema scarsamente significativo? Uno pensa al passato o al presente e incomincia a farsi un’idea. Può anche darsi che sia stato un tema grosso e importante per un certo periodo e non lo sia più. Sono persone, ad esempio, che magari sono nate con dei problemi fisici. Ho rischiato personalmente di morire di pertosse a due mesi e mezzo. Ho avuto grossi problemi di pelle e alcune altre cose, problemi di rachitismo e altre storielle di questo genere. Adesso diverse di queste cose sono, si può dire, completamente risolte. Non posso dire di aver avuto grossi problemi, a parte i famosi dolori al gomito e un mal di denti e alcune cose in più, diciamo pure. Può darsi che un dato tema sia un qualche cosa che riguarda un periodo della vita che si è concluso o può darsi che non lo riguardasse prima e che ci siamo entrati dentro adesso. Non so se cominciate a riuscire a capire qual è il senso di questi palazzi. Riuscire a capire qual è importante per la nostra vita, quanto si è compiuto o quanto devo ancora fare per compierlo o quanto anche devo rendermi conto che posso andare oltre. Diversi di voi sono terapisti. Può darsi che alcuni di voi sono terapisti da dieci anni, alcuni da venti, alcuni da trenta. Può darsi che qualcuno si stia chiedendo: ha senso ancora che io faccia il terapista o è il momento di aprire un negozio di fiori o di andare a fare trekking sull’Himalaya? Può darsi che anche, in questo senso, un tema sia compiuto. Sono le crisi della vita, a volte, quando sentiamo di dover cambiare. Questo è il primo palazzo, il primo tema: la salute. È un tema che, essenzialmente, riguarda noi non gli altri, anche se naturalmente gli altri ci possono aiutare, però è un tema centrato su di noi.
Così come lo è il secondo: ricchezza, abbondanza. Ricchezza, abbondanza di nuovo può essere visto in senso fisico, materiale. Di nuovo uno può guardarsi. Magari qualcuno di voi è nato ricchissimo e poi i genitori sono falliti, si sono bruciati tutto, hanno perso tutto al gioco e hanno scoperto la miseria. Oppure qualcuno è già partito misero. Qualcuno è partito povero ed è diventato molto ricco. Varie modalità per cui il tema della ricchezza è importante. Qualcuno magari è nato in una famiglia che non è né ricca né povera, però aveva tutto di quello di cui aveva bisogno, non ha mai avuto dei grossi problemi economici. Qualcuno invece è sempre stato assillato da problemi economici, dalle ristrettezze alle mancanze, altro tema. Qui di nuovo l’aspetto fisico, ma, in un senso più lato anche qui, abbondanza, ricchezza è un senso interno di sentire di avere abbastanza dalla vita, di avere avuto e di continuare ad avere a sufficienza dalla vita. Magari uno non è mai stato di una famiglia ricca o anche abbastanza povera, ma dice: sto benissimo, ho sempre mangiato tutti i giorni e ho sempre avuto una stanza in cui dormire, sono a posto. Qualcun altro invece dice: mio fratello ha trentasette palazzi ed io ne ho solo trentaquattro, mi sento povero o ne avevo trentasette e ne ho persi tre, quindi mi sento povero. Guardate che a volte succede. Capita la persona che guadagna mille euro il mese, arriva a guadagnarne millecinque e si sente veramente ricco. Magari qualcuno ha delle entrate per venti mila euro il mese, ne ha soltanto più dodici mila e si sente impoverito. Quindi è un concetto anche relativo. Anche qui non è soltanto un aspetto fisico e non riguarda soltanto l’aspetto della ricchezza materiale. Ad esempio sento di aver ricevuto abbastanza affetto, sento di aver ricevuto abbastanza istruzione, sento che gli insegnanti che ho avuto mi hanno dato abbastanza cose. È un senso globale di abbondanza, di quante cose mi sono state trasmesse in questa vita. Le persone che hanno questo come grosso tema della vita sono persone che si trovano o hanno la sensazione di dover sempre “guadagnare di più, di acquisire qualcosa di più” perché quello che c’è non basta. Che sia più sull’aspetto materiale o che sia su altri aspetti. Ad esempio può riguardare anche la conoscenza. Ho studiato trecento testi di medicina cinese, trecento testi di taoismo, adesso studio trecento testi d’induismo poi trecento testi di buddismo poi trecento testi del cattolicesimo poi trecento testi dell’’islam. Ho bisogno ancora. Oppure ho fatto la formazione dello shiatsu, adesso faccio kinesiologia poi faccio cranio sacrale poi faccio osteopatia poi faccio omeopatia. Ho bisogno ancora di avere. Qualcuno dice: ho fatto shiatsu, ne ho fin troppo per questa vita. Possono essere tanti aspetti.
Abbiamo il terzo palazzo: generosità, prosperità. In un certo senso è la conseguenza del precedente. Se sento di avere tanto mi diventa abbastanza facile dare. È un meccanismo abbastanza automatico. Se sentiamo di aver avuto in abbondanza, ci diventa spontaneo l’idea di dare agli altri, di condividere, di non essere troppo attaccati a quello che abbiamo. Di nuovo anche qui può essere visto a vari livelli. Può essere più fisico, essere generoso nelle cose materiali. Può essere anche essere generosi nel passare la propria conoscenza. Ci sono insegnanti che sono molto generosi, altri sono un po’ taccagni. Hanno quasi paura che se passano tutto quello che sanno loro, non gli rimane più niente. Poi lui sa tutto quello che so anch’io. Ce ne sono altri che non hanno questo problema perché sentono di avere ricevuto tanto, quindi possono tranquillamente dare tanto. Anche nell’ambito della terapia ci può essere quest’aspetto. Quanto sono disposto a dare oppure no, fino a un certo punto perché non vorrei poi esaurirmi, stancarmi, sfinirmi. Se sento di avere il rischio di esaurirmi è perché sento di non essere abbastanza carico, di non aver abbastanza. In ultima analisi è questa capacità di condividere e di dare senza aspettare di avere qualche cosa in cambio. Questo diventa il terzo livello, quello più spirituale. La comprensione che siamo tutti interconnessi, che siamo tutti parte di un’unica cosa e quindi non c’è questo senso di tenere qualche cosa per me e non muoverlo verso gli altri per cui dare diventa un atto spontaneo come respirare. C’è quest’idea che la vera generosità non ha un fine. Non ha il fine di far sentire che uno è bravo, ma non ha neanche il fine di essere davvero generosi, semplicemente accade. C’era un maestro, non taoista, un grande maestro indiano Krishnamurti, che ormai è scomparso, che diceva: trovi un sasso mentre stai camminando e lo sposti semplicemente perché gli altri non c’inciampino. Non perché qualcuno ti veda, ti dica bravo o per guadagnare dei meriti, ma semplicemente perché così la gente non inciampi. C’è quest’idea. Altre tradizioni dicono di dimenticare il bene appena fatto oppure che l’unica cosa da cui abbiamo un reale guadagno è quella da cui non guadagniamo nulla. Sono vari modi che diverse tradizioni hanno per indicare questo concetto, quest’idea di generosità. Abbiamo questo primo gruppo di tre palazzi: salute, abbondanza, generosità. Li troviamo anche in quelli che vi leggono la mano, che vi leggono il futuro o il passato ma che ha questo significato abbastanza profondo. Questa prima triade è molto centrata su di noi. Su come ci muoviamo noi, su come ci sentiamo noi. Sono strettamente connessi tra di loro.
Nel momento in cui abbiamo un qualche livello di acquisizione a questi livelli, incominciamo a sentire la relazione degli altri palazzi. Questo è un altro modo in cui possiamo leggere i vari palazzi. Non più qual è il tema centrale della mia vita, ma come i nove sono interconnessi. Nel senso che tutti e nove sono dei temi per la vita di tutti però, ad esempio, se io ho una certa condizione discreta di salute e sento di avere abbastanza e mi sento generoso, mi viene spontaneo muovermi nella relazione con il mondo. Se mi sento in una condizione misera sia fisica sia materiale, non ho molta voglia di mettermi in relazione con il mondo, tranne mettermi in relazione col mondo per chiedere dal mondo. Possiamo leggerla anche in quest’altra ottica.
Il primo tema sono le relazioni. In altre terminologie, a volte, si trova amore, perché le relazioni sono o dovrebbero essere d’amore, anche se non soltanto. Relazione è proprio questo senso della nostra capacità di dare affettivamente agli altri. Per dare amore dobbiamo avere amore. Famosa è l’espressione: non si può dare ciò che non si ha. In quest’ottica non si può neanche ricevere ciò che non si ha. Ho una relazione per prendere qualcosa che non ho, se no cosa me ne frega della relazione. Se ho già tutto, me ne sto per conto mio. L’idea, che non si può ricevere qualcosa che non si ha, è quello che una volta il maestro Jeffrey Yuen ha detto: non pensate che due esseri incompleti formino un essere completo. È un grosso tema di molte relazioni, di coppia e non solo di coppia, il cercare nell’altro qualcosa che mi completi dandomi qualcosa che io non ho. Un’obiezione potrebbe essere: se io sono completo, se ho già tutto quello che devo avere, se sono amore perché mi devo muovere verso l’altro? Perché invece scopro che l’altro mi aiuta. L’idea è questa che quello che può fare l’altro è aiutarci a metterci in contatto con quello che c’è dentro di noi e che noi non stavamo guardando. Non a crearlo, non a sostituirlo. Quello che può fare l’altro è accendere una scintilla, una luce che riesce a farmi vedere dentro di me delle cose che prima non vedevo. L’amore dell’altro riesce a far vedere l’amore che c’è dentro di me, anche se sto percependo che l’altro mi sta dando amore, perché se è soltanto questo, nel momento in cui l’altro non c’è più, sono da capo, sono di nuovo senza amore. Mentre se non è così, anche se l’altro non c’è più, se questa scintilla è stata attivata questa cosa rimane dentro di me, l’ho solo scoperta. Non c’è nessuno che ci può salvare se non noi stessi; anche nella tradizione dei maestri questo è un tema che il maestro Jeffrey Yuen ripete molto spesso. La salvezza viene da dentro. Il maestro può aiutare a portarti a vedere alcune cose che hai, che non stai coltivando e con cui non sei in contatto, ma non a darti quello che non hai. Nessuno può dare la salvezza a un altro. Nessuno può darci la completezza, ma può aiutarci a coltivare qualcosa che ci porti nella completezza. Questa è l’idea della relazione: l’altro, gli altri servono per aiutarci ad attivare qualche cosa che è in noi. Ho amore e le persone attorno riescono a stimolare amore dentro di me. Ho un senso di pace e delle persone che sono in pace riescono ad attivare la pace dentro di me. L’unica cosa che possiamo davvero dare e prendere nella nostra relazione sono gli attaccamenti, gli attaccamenti alle cose materiali. Possiamo dare denaro, possiamo dare un tetto, possiamo dare una protezione fisica all’altro, possiamo dare queste cose, ma queste cose servono perché la persona si metta in contatto con qualcos’altro. Magari una persona è sempre stata misera ed entra in contatto con una persona che ha ricchezza fisica. Questa ricchezza fisica consente a questa persona di mettersi in contatto con qualcosa che era oscurato dalla focalizzazione esclusiva sulla miseria perché sentivo soltanto di dover avere perché ero indigente. Nel momento in cui comincia ad avere, non è che l’altro gli sta dando altre cose ma può scoprire dentro di sé altre cose che prima erano coperte da altre priorità. Oppure una persona ha qualcuno che gli dà sicurezza, gli dà protezione, gli dà un senso di solidità allora la persona, dentro, può mettersi in contatto con dei livelli con cui prima non era in contatto. L’altro può accendere una scintilla dentro di noi. Questo è il tema grosso della relazione.
Dalla relazione nasce la creatività. In alcune delle mappe c’è amore, figli. Lo sappiamo tutti, a volte, succede. Ci si mette in relazione con gli altri, si ha una discreta salute, senza neanche accorgersene arrivano i figli. Questo palazzo lo possiamo leggere però in senso più vasto con l’idea di creatività. Figlio cosa vuol dire, creare qualche cosa. Le relazioni creano qualche cosa. Diventiamo creativi perché attiviamo la nostra capacità di creare qualche cosa. A livello fisico generando dei figli, a livello energetico la capacità di creare qualcosa che ci dia un certo senso di completezza, che sia l’espressione di quello che noi siamo. Occorre un figlio, anche se poi è tutta una cosa diversa da noi, però c’è questo senso di dare qualcosa che è completezza. Può essere un lavoro, può essere un’opera d’arte, può essere tante cose della vita. Il maestro Jeffrey Yuen una volta ha detto: cosa vorreste fosse scritto sulla vostra pietra tombale, quando siete morti. Tante cose possono essere: è stata l’esemplare madre di nove figli. Mi piacerebbe ci fosse questo. Ad altri i figli non gliene frega niente: è stata una grande danzatrice, è diventato l’uomo più ricco del paese e d’Italia, dipende da quali sono i vostri livelli. Che cosa vorremmo che venisse scritto lì. Cosa ci dà un senso di andare oltre la nostra vita fisica. Ecco perché il legame fisico sono i figli che sono un senso di continuità. Cosa sentiamo di aver fatto d’importante. La creatività non questione di che cosa è, ma di come noi ci rapportiamo a quello che è. Non è che sono creativi soltanto quelli che sono artisti, scrittori, poeti e i navigatori. L’Italia è un paese di artisti e navigatori. Si può essere creativi come terapisti, come genitori. Creare nel senso di sentire che stiamo facendo qualche cosa che per noi è importante, che ci dà un senso di completamento, di compimento, di qualcosa che è compiuto. Questo è il tema della creatività o dei figli. Non so se state riuscendo a capire il senso di questi temi, di questi palazzi. Di nuovo anche per questi palazzi possiamo chiederci quanto siano dei temi fondamentali o meno della nostra vita. Qualcuno potrebbe chiedersi che l’idea di fare qualcosa di creativo, di qualcosa che viene scritto sulla lapide tombale non è proprio qualcosa che gl’interessa. Sto bene, sono in salute, ho delle ottime relazioni con i miei amici, con mia moglie (mio marito), ecc. Sono creativo perché ho fatto dei figli. Non sento quello come l’aspetto più importante. A volte ci sono delle persone che fanno dei figli, ma ritengono fare dei figli uno degli aspetti della vita, non certo il più importante; per alcuni è il senso della vita. Possiamo osservare la nostra vita per chiederci qual è il tema o i temi o anche chiederci se la nostra vita, avendone tanti di questi, è più monotematica o se ha più temi, più palazzi di lavoro.
Dalla creatività arriviamo a viaggi, anche questo tipico termine che viene usato nella lettura del futuro (amore, figli, viaggi). Adesso potremmo sostituire questo termine viaggi con un termine che è molto in voga in questo secolo ventunesimo e che è globalità. L’idea del viaggio ha questo concetto, quest’idea di andare oltre i nostri confini limitati. Nell’antichità i confini erano quelli del villaggio o dell’area in cui si viveva, adesso con gli aerei si viaggia e si va lontano. Che cosa succede nel momento in cui noi andiamo negli altri paesi? Scopriamo che la gente è diversa da noi. Noi italiani andiamo all’estero, andate nel nord dell’Europa e dite: che strani che sono qui in Nord Europa che mangiano a colazione alla mattina, proprio gente strana. Poi andiamo in Cina, un altro viaggio, e diciamo: che strani che sono i cinesi che mangiano a colazione alla mattina. Poi andiamo in India e diciamo: che strani che sono gli indiani che mangiano a colazione alla mattina. Difficilmente pensiamo, forse siamo strani noi che non mangiamo alla mattina? All’inizio c’è un senso di diversità. Gli altri sono diversi da noi: diversi costumi, diverse abitudini, diverse lingue, diverso colore della pelle, diversi in tante cose. Di solito nell’esplorazione siamo colpiti dalla diversità. Gradualmente, però, a un certo punto, soprattutto se siamo davvero dei viaggiatori, andiamo oltre la diversità. Se siamo in Cina, facciamo colazione come fanno i cinesi al mattino, se siamo in Italia come fanno gli italiani, se siamo in America come fanno gli americani. Parliamo lingue diverse, non ci stupiamo del colore della pelle o di altre cose di questo genere. Cominciamo a renderci conto che, al di là delle apparenze, c’è qualcosa che è comune a tutti noi. Questo è il senso del palazzo della globalità. Accettiamo che il disagio che abbiamo all’inizio può essere superato, che ogni posto può essere casa nostra, che possiamo sentirci a nostro agio in posti diversi fra di loro perché riusciamo a sentirci fondamentalmente a casa quando siamo con noi stessi non in base al luogo dove siamo. Questo è il concetto del viaggio, della globalità. Anche qui possiamo chiederci se questo, anche proprio a livello fisico materiale, è stato un tema importante o meno della vita. Qualcuno di noi, magari, non è mai uscito dalla Lombardia nella loro vita. Alcuni sono stati spinti dalla vita a viaggiare per il mondo, a volte per scelta, per desiderio, a volte per fattori contingenti esterni. Io non sono mai stato spontaneamente un grande viaggiatore, ma la vita mi ha diverse volte spinto a viaggiare per conseguire altro. A volte c’è qualche cosa che ci spinge e ci dice che è qualcosa che ci tocca. Il senso di questo palazzo è di renderci conto che non siamo separati. Acquisiamo un certo senso di comunità, siamo tutti parte di una comunità. Quindi riusciamo ad andare oltre i pregiudizi, le ideologie, qualunque tipo d’ideologie: ideologie religiose, ideologie politiche, ideologie di valore sociale, culturale. Questo è il senso, a volte non lo vorremmo, ma la vita ci costringe quasi a farlo. Immaginiamo un uomo brianzolo estremamente razzista (posso permettermi di fare un commento sul brianzolo perché sono nato in Brianza): per mio figlio, per mia figlia uno di Milano non lo voglio perché non voglio stranieri in casa, la gente di fuori è troppo diversa da noi. Però, anche se lui non vuole, quello è il palazzo della sua vita. Allora succede che magari sua moglie decide di adottare un bambino dall’Africa, per cui si trova un nero in casa perché la moglie voleva un bambino. Poi, dopo che hanno adottato il figlio, riescono a far dei figli. A volte succede questa cosa: prima non ci riuscivano poi ci riescono. Fan due figli. La figlia a un certo punto arriva a casa e dice: ho trovato l’amore della mia vita. Di dov’è? Del Marocco. A momenti lui muore. L’altro figlio arriva a casa e dice di averlo trovato pure lui. Di dov’è? È cinese. Altro quasi infarto. Vengono i figli, i nipotini e scopre poi magari che gli piacciono. Magari la vita l’ha spinto senza bisogno che viaggiasse lui, senza che lui andasse in giro per il mondo. È il mondo che gli è arrivato in casa. Questo è un altro tema: viaggi inteso come globalità. La nostra capacità di sentirci parte di una comunità.
Abbiamo poi questo tema che, a volte, quelli che leggono la fortuna viene detto la vocazione. A volte viene usato il termine carriera. Amore, figli, viaggi, carriera è tipico anche dei bigliettini che sono dentro i cioccolatini. Il termine vocazione dà più l’idea. C’è quest’idea di rendersi conto che si è al mondo per rendere una sorta di servizio all’umanità, senza avere delle idee di grandezza, quindi si sente che questa è la nostra vocazione. Come posso essere d’aiuto? Qual è la mia vocazione? Non pensiamo che la vocazione sia chissà che cosa. La vocazione può essere di assistere una persona, di fare dei figli, di essere in grado di mantenersi, può essere tante cose; cosa davvero conta per me nella vita. Questo è il senso della vocazione. Se veramente sento di essere in contatto con questo senso di vocazione, c’è una sorta di serenità o di felicità, di leggerezza, c’è qualcosa che ci tira su. Quando trovate qualche persona che vi dà un senso, vi emana un senso di serenità, di pace, spesso, è perché si sente in contatto con questa sua vocazione. Ripeto, non bisogna che sia una grande cosa, può essere anche una cosa molto piccola. Si può avere la vocazione di essere l’autista di autobus per i bambini delle scuole. Ci sono persone che si sentono a proprio agio nel fare questa cosa. C’è qualcuno che, anche essendo un grande scrittore o un grande uomo d’affari, non si sente a proprio agio con questa cosa. Qualsiasi cosa può diventare spirituale, per usare un altro termine, anche fare un lavoro che non ci piace perché ci sta insegnando che ci consente di mantenerci. Questo non è un invito a stare nelle cose che non ci piacciono. Potremmo scoprire che abbiamo un’altra vocazione e dobbiamo cercare di realizzarla. Un altro modo in cui potremmo dirlo è: il ruolo che io sto svolgendo nella società, è quello che io sono o tutt’altro? Ovviamente ci sono tutta una serie di cose che per forza noi facciamo e che non consideriamo la nostra vocazione. Quell’ora di viaggio al mattino per andare sul posto di lavoro non lo sento proprio una vocazione ma è quanto l’insieme per noi ha un senso oppure no, questo è un senso di vocazione. C’è l’idea che anche se quello che stiamo vivendo è qualcosa di duro, abbiamo fatto l’esempio di una malattia magari una malattia grave oppure un lavoro che non sopportiamo, che detestiamo, se riusciamo a entrarci dentro possiamo uscire dall’altra parte. Questo è anche il senso della vocazione. Il sentire che comunque quello è qualcosa attraverso cui noi possiamo passare per arrivare a qualcosa d’altro. C’è l’idea di vivere il destino per andare oltre il destino. Vivendo la mia malattia, magari una malattia genetica, vado oltre questa malattia genetica. Vivendo la mia dipendenza, dipendenza da alcool, dal gioco, da quello che è, vado oltre la mia dipendenza. Entro nella foresta, ma esco dall’altra parte, ritrovo il sole. A volte, è chiaro, abbiamo la sensazione di essere persi nella foresta, abbiamo perso il senso della vocazione. Vocazione non è soltanto: faccio qualcosa che mi piace tantissimo e allora tutte le altre cose, le lascio stare. Non è questo. È una sorta di vivere molto consapevoli. Ho dentro di me il potere di superare la condizione in cui sono e non di perdermi nel bosco. Questo è il senso importante di sentire una vocazione. Lo dicevamo prima quando parlavamo del primo tema, del primo palazzo, la malattia. Ok sono in una malattia, ma riesco a trovare un senso in questa malattia. Un senso non per forza razionale, ma sento che è parte di un percorso.
Questo ci porta all’ultimo di questi otto palazzi prima del nono. Il superamento del mio destino, vivendolo però non tirandomi indietro, non cercando di schivarlo, vuol dire poter andare oltre, vuol dire aver compreso qualche cosa, quindi non aver più bisogno di vivere quell’esperienza. Dicevamo prima di questa lezione incompiuta, quindi di poter andare oltre. Ho vissuto con vocazione l’essere l’autista di autobus per bambini, quindi posso passare a qualcosa d’altro. Il palazzo della saggezza quindi è una sorta di trascendenza, di riuscire ad andare oltre quello che ho vissuto, anche le cose belle; adesso ho citato le cose brutte, ma anche le cose belle. L’amore per una donna, che cosa meravigliosa, ma a un certo punto vado oltre. Se non vado oltre, mi tocca un’altra vita. Uno dice: non male un’altra vita in cui amerò moltissime donne, può essere interessante, però a un certo punto si va oltre. Oppure un’altra vita in cui sarò molto ricco. Non si sta poi così male, però a un certo punto vado oltre. Non m’importa di essere ricco. Non me ne accorgo neanche, non ci bado proprio. Saggezza è andare oltre, trascendere, oltre il destino, oltre la salute, oltre i vari palazzi nel percorso, oltre le relazioni, oltre l’amore, inteso come relazione, oltre il voler creare qualche cosa, oltre tutto, perché questa cosa si è compiuta e non ha più bisogno di essere compiuta ancora una volta. Saggezza è una sorta di far ritorno a se stessi, perché tutte queste cose che sono state degli strumenti di consapevolezza a un certo punto diventano quelle che, in altre tradizioni taoiste, vengono chiamate delle distrazioni. Non mi servono più. La stessa cosa può essere uno strumento di consapevolezza o una distrazione. A volte abbiamo bisogno di complicarci la vita per capirla e quando l’abbiamo capita, la semplifichiamo. Pensate a quando studiate un argomento, una materia. All’inizio ho bisogno di sapere di più, di avere più elementi, di mettere cose finché arriva una sorta d’intasamento totale. Poi, a un certo punto, comincio ad andare oltre tutta questa condizione e le cose diventano molto semplici. Per quanto la saggezza viene distinta dalla conoscenza, la conoscenza può servire per la saggezza. La conoscenza è mettere dentro dati, è inserire elementi, inserire cose. C’è un momento in cui questa conoscenza viene lasciata andare e quello che rimane è la saggezza che è la sua essenza. Per questo nel taoismo si dice: chi sa non sa, chi non sa sa. Non è un invito all’ignoranza, ma a lasciar andare la conoscenza acquisita per entrare nel reame della saggezza.
Questo vuol dire fare ritorno a casa. La casa non è un campo di lavoro, non è una delle otto lezioni, ma è piuttosto il conseguimento finale. Ci sentiamo in pace, ci sentiamo risolti, ci sentiamo completi, ci sentiamo a casa ovunque. In alcune tradizioni questi due ultimi (palazzi) vengono invertiti, saggezza e casa, perché uno dice: nel momento in cui torno a casa, sono in contatto con la saggezza. Abbiamo trovato dentro di noi una centratura, un posto che possiamo chiamare casa e questo rappresenta il completamento di questo percorso. Andare sempre di più in contatto con quello che noi siamo sempre stati, con la nostra essenza più profonda. Questi Nove Palazzi, in quest’ottica, diventano come un cammino palazzo dopo palazzo, però li possiamo anche vedere, nell’altra modalità di singolo palazzo e chiederci qual è o quali sono i principali campi di lavoro che abbiamo affrontato nella nostra vita e chiederci se alcuni di questi si sono risolti si sono completati mi sono spostato in un altro.
D. Perché i numeri? I numeri hanno un significato? R. Questo è quello che viene chiamato il quadrato magico perché ci sono i numeri da uno a nove e la sua caratteristica, come potete osservare, è che c’è una disposizione, potete farlo come gioco di società, se volete, se non lo conoscete. Comunque facciate la somma in diagonale, in verticale, in orizzontale, fa sempre quindici. Se volete, come gioco, fate i nove (quadrati) e dite di mettere i numeri, senza dire niente. Se gli mettete il cinque in mezzo, la state aiutando un bel po’. C’è tutta una simbologia legata a questi numeri che non affrontiamo stasera per vari motivi, primo perché non sono in grado di eviscerarla come si deve e secondo perché è veramente complessa. Ci sono associazioni anche con i cinque movimenti e un mucchio d’altre associazioni. Questi numeri servono anche per usare certi punti su certi canali associati agli otto canali Straordinari, ci sono tutta una serie di combinazioni di questo genere. C’è però quest’idea di un movimento nei palazzi, attorno, per poi arrivare al centro. Ci sono molte simbologie contenute in questo (quadrato magico). Ci sono dei modi, che li possiamo leggere delle combinazioni dei palazzi, per cui posso combinare questi tre e, secondo come li combino, ottengo un certo tipo di completezza. Abbondanza, salute, saggezza (verticale). Abbondanza, generosità, relazioni (orizzontale) e così via in diagonale. Ne faccio solo uno come esempio. Saggezza, casa, relazioni (diagonale); dato che la saggezza è associata all’acqua, le relazioni al fuoco, la casa alla terra ha a che fare con l’asse verticale del corpo per cui, per quelli che conoscono i canali questa è l’acqua, questo è il fuoco, questa è la terra. C’è un mucchio di relazioni in questo senso.
D. La casa si consegue quando si lascia il corpo, cioè quando si muore, oppure si consegue ancora in vita? R. Non c’è l’idea di un conseguimento finale. Questi (palazzi) possono essere usati in tanti modi. Ad esempio li puoi vedere anche in un progetto della tua vita. Puoi dire che il progetto della mia vita richiede questi Nove Palazzi. Devo avere una certa condizione di salute nel momento in cui ho deciso di fare il corso di terapista shiatsu. Dovresti avere un certo livello di salute per poterlo fare, perché se no, non potevi neanche iniziare. Devi avere una certa abbondanza perché hai dovuto pagare il corso, eccetera. Lo puoi leggere per un progetto, lo puoi leggere per una vita, per cui dici: quando muoio faccio ritorno a casa. Lo puoi leggere su più vite, lo puoi leggere in tanti modi. I Nove Palazzi sono qualcosa che possono essere letti in tanti modi, fanno riferimento a tante tradizioni. Gli otto palazzi, esclusa la casa, hanno un legame con gli otto canali Straordinari per cui ognuno di loro è associato a uno dei canali Straordinari. È associato anche a quelli che vengono chiamati gli otto metodi della tartaruga spirituale, che è una tecnica particolare di agopuntura. Nella tradizione giapponese è diventato il Chi (in giapponese il Qi è diventato Chi) delle nove stelle. Ci sono tante applicazione in ambito terapeutico, in ambito mistico, anche in ambito della geomanzia, la disposizione del feng shui, la lettura dei luoghi, degli ambienti, la disposizione della propria casa con dentro le nove stanze: dov’è il bagno, dov’è la camera da letto. Dove c’è la camera della generosità non ci sarà mica una porta troppo grande, una vetrata perché i soldi se ne vanno di lì. C’è anche questo tipo di lettura – feng shui, per chi lo conosce. La lettura della terra come un insieme energetico che ha delle sue vie, quindi può essere letto in tanti modi, anche come percorso di una vita; far ritorno a casa è il momento della morte.
D. Una lettura può essere, guardando i primi tre come sopravvivenza, poi gli altri come delle relazioni, poi la saggezza come una specie di consapevolezza. C’è anche un ciclo che può essere legato all’età anagrafica, che man mano che uno cresce può arrivare verso la saggezza? È difficile che l’abbia il bambino, per cui il percorso dove uno, naturalmente, potrebbe arrivare. R. Può anche essere letto così. Sai che i taoisti non danno mai una lettura univoca. Può essere letto che, quando nasci, parti già dalla saggezza. Poi cominci a dover vivere, quindi c’è questa complicazione di salute, di abbondanza, generosità, eccetera, poi fai ritorno a casa.
D. Mi è difficile capire il nascere con la saggezza. La saggezza è il sapere qualcosa. R. Perché c’è l’idea che prima di venire al mondo noi sappiamo già, poi nel momento in cui veniamo al mondo questa conoscenza viene tolta per poterci consentire di vivere la vita e di fare le esperienze. Tu che sei un appassionato di calcio immagina che prima che la tua squadra che tu alleni giocasse la partita, ti dicessero già il risultato finale. Come potresti metterci tutta la passione, l’entusiasmo, gli sforzi, tutto quello che tu impari da quella partita, se sai già che finisce tre a due? Quando gli altri fanno il primo goal, tutti belli tranquilli, poi fanno il secondo goal uguale, tanto vinciamo tre a due. Pensa quando ti sei innamorato della prima fanciulla della tua vita, quante cose hai imparato da quell’amore con il cuore che batteva forte, tu che arrossivi, brufoli che avevi e che ti facevano sentire in imbarazzo, tutte queste cose qui. Pensa se tu avessi già saputo che adesso m’innamoro di quella, ma tra sei mesi la lascio per quell’altra, non riusciresti più a vivere. È il vivere che fa l’esperienza e che ti consente di andare oltre. C’è questo senso che, dentro il bambino che deve ancora nascere, c’è già una saggezza ma poi deve fare tutto il percorso per tornare a riscoprirla. Come diceva lui, questo dovrebbe essere il tema dell’anziano. In un altro senso quello che puoi dire è che si nasce leggeri e dovremmo riuscire a morire leggeri. Il bambino quando nasce, nasce molto leggero. Non ha niente, è nudo. D. Difficile è riuscire a morire leggeri. R. Sì, puoi leggerla così. La vita è un processo di complicarci la vita. Certe cose che sono complicazioni, sono anche gli strumenti per imparare certe cose. Pensate che complicazione studiare, però è uno strumento anche quello, poi torno a semplificare. Abbiamo detto che possiamo anche leggerlo in un processo d’apprendimento. All’inizio mettiamo dentro tante cose, poi altre le lasciamo andare perché teniamo l’essenziale di quelle cose. Può essere veramente letto in tanti, tanti modi.
D. I taoisti come se la cavano con il destino? Hai tutti questi palazzi, fai tutte le tue belle esperienze, ma è tutto destino? R. Nella tradizione taoista, come in altre tradizioni per altro, pensiamo alla tradizione cattolica con il libero arbitrio, c’è quest’idea che il destino ha due componenti. Ci sono dei temi già predefiniti, poi c’è come tu rispondi agli eventi che la vita ti presenta. Questo rappresenta la tua componente, come dire, personale. Abbiamo fatto prima il tema della salute. Il destino ti porta una malattia grave. Tu puoi decidere di affrontarla chirurgicamente, puoi decidere di rivolgerti all’omeopatia, puoi decidere di ritirarti su un monte a meditare, puoi decidere di spararti un colpo alla testa prima che ti ammali. Cose che succedono, a volte, alle persone. L’evento era parte del destino assegnato, ma il modo in cui rispondo all’evento fa parte del tuo contributo personale di quello che può far cambiare. Il destino non è visto come qualcosa di fisso, ma come una tendenza. Anche quando questi palazzi vengono usati per la divinazione, per interpretare il futuro. Quando qualcuno interpreta il futuro, interpreta delle linee di scorrimento. Il discorso che, a volte, faccio è: immagina che tu stai andando con il tuo Porsche a duecentottanta all’ora sull’autostrada, anzi non sull’autostrada, su una strada di montagna. Chi s’intende di auto e non io, che m’intendo solo di biciclette, può dire che non si va a duecentottanta all’ora su una strada di montagna, allora diciamo alla velocità che si può andare. Tu sei lì di fianco e gli dici: guarda che quella curva là la conosco, se non incominci a decelerare adesso vai fuori strada. Ti sta leggendo il futuro? È molto probabile che tu vada fuori strada, ma non è detto. Dipende dalla capacità di frenare che hai, cosa aspetti ancora a farlo e così via. Questo è un po’ il senso del destino, di indicare un percorso, una traccia che si va via, via modificando in base alle scelte che tu fai.
D. Era destino che tu facevi quelle scelte lì. R. Certo quello può essere l’argomentazione, ma non c’è quest’idea che è tutto predestinato. È un dibattito che c’era già duemila anni fa. Qualcuno diceva più in un senso, qualcuno più nell’altro. La visione taoista prevalente, per lo meno, è che ci sono le due componenti e quindi non è tutto pre dato, ma c’è un’impostazione. Quell’impostazione è quella che ti serve per imparare delle cose. Il destino non è una maledizione, è un’opportunità, questo è il senso.
D. Un’altra cosa. Questi palazzi come te li devi immaginare? Come una palazzina di quattro piani, come la Reggia di Caserta, come il grattacielo della Pirelli? R. Dipende dai tuoi deliri di grandezza. D. Quei palazzi lì mi danno il senso di tante stanze, tante porte, tante finestre, tante scale. R. Non è l’ambito di questa cosa, ma avremmo potuto dire: fate una visualizzazione e descrivete come vedete il palazzo. Può dare delle indicazioni utili su come vivete quel palazzo. Se tu lo vivi come moltissime stanze in cui ci si può perdere, può essere che per te quel dato palazzo è un luogo in cui ti ci stai un po’ perdendo. D. Era più giusto un luogo, il palazzo dà la sensazione di complesso. R. Classicamente il termine palazzo, penso alla mia interpretazione almeno, viene usato per indicare che è qualcosa che è molto importante. Non è una cosettina così, è qualcosa di molto importante.
D. Questi nove palazzi a me paiono tutti interessanti, ma nella visione taoista, nella vita di una persona il fatto che non vengano visitati, vissuti tutti, non ha importanza? Non è qualcosa che rende più completa la vita di una persona il fatto di aver avuto a che fare con ciascuna di queste cose? R. Non c’è quest’idea. A un certo livello ognuno di noi vive in tutti e nove i palazzi. Se volete, visto che lui è spaventato dai Nove Palazzi, le nove stanze di casa vostra. Chi ce l’ha nove stanze? D. C’è la stanza, dove non vado mai. R. Esatto. Tendenzialmente le vivete tutt’e nove, ma non in modo uguale. Ad esempio io sono uno che fa un mucchio di cose in cucina, perché mi piace. Ci studio, ci sto con gli amici. Per qualcuno la cucina è solo un luogo dove, se proprio costretto va a cucinare, se no c’è il soggiorno. Qualcuno vive molto in camera da letto. Legge in camera da letto, studia in camera da letto, mangia in camera da letto. Ci sono delle persone così. Pur abitandole tutte, alcune sono più abitate di altre. Questo è, in parte, legato al nostro destino, in parte legato alle nostre scelte. Lo stimolo è di chiederci cosa è del destino e che cosa è delle scelte per poter, eventualmente, cambiare. Forse invece che mangiare a letto, posso cominciare a mangiare in cucina. Ho fatto un esempio così, però c’è quest’idea. Può darsi però che quella data casa, quel dato palazzo non sia un tema significativo della mia vita. Ecco perché lo visito poco. Prima facevo l’esempio del palazzo della salute. Uno per tutta la vita, sì ha avuto qualche cosa che ha a che fare con la salute, ma cose non grosse, non significative, mentre, magari, ha avuto sempre problemi economici ricchezza, povertà, complicazioni, qualcun altro il contrario e cosi via. Alcune persone hanno una vita d’intense relazioni, il palazzo delle relazioni, hanno scelto di fare il public relation man. Sono manager delle relazioni pubbliche, quante relazioni, a quanti party bisogna andare. Un altro nella sua vita fa il liutaio. Non è che non abbia delle relazioni, ma certo che, per lo meno quantitativamente, ne ha molte di meno e così via.
D. Io non ho capito una cosa. Tu hai detto: qualcosa fa parte del destino, qualcosa fa parte delle scelte, ma scelte e destino non sono la stessa cosa? R. No, l’idea di destino pre dato, tipo ad esempio i tuoi genitori, quelli sono. Tu li volevi alti, biondi e svedesi e invece erano più bassini e brianzoli, non li puoi cambiare. È pre dato il sesso, è vero che ultimamente volendo si può cambiare, però insomma non è proprio la stessa cosa. Ci sono delle cose che sono date. D. Quello è il fato. R. Se vuoi chiamarlo così, sì, è solo questione di terminologia, chiamalo come vuoi il pre dato. È qualcosa che è già lì. Anche in quello che deve ancora accadere, in un certo senso, c’è l’idea che qualcosa è già definito, però non si sa perché quello che accadrà è in funzione anche di cosa scegli oggi. D. Il classico esempio, nasco con un polmone solo, a un certo punto io posso scegliermi il destino se andare a vivere in montagna in una pineta a respirare aria pura e camperò di più o se fumare due pacchetti al giorno di sigarette. Avrò due destini diversi. Il destino, praticamente, lo scelgo io in base a quello che il cielo o chicchessia mi ha dato. R. È solo una questione di terminologia, come lo vuoi chiamare. Se uno lo vuoi chiamare fato e l’altro destino o se vuoi chiamalo destino dato e destino vissuto. Ci sono le due componenti. Qualcuno, come menzionava lui prima, è più convinto che sia quasi tutto già fissato. In un’altra visione c’è quest’idea, invece, che ci sono queste due componenti: qualcosa che è dato e qualcosa che si crea nel momento in cui lo viviamo e che anche quello che è già impostato si cambi in funzione di come lo viviamo.
D. La domanda pratica arriva sempre. Mi domando se allora nonché adesso questa schematizzazione venisse usata in qualche modo. Questa tabella, questo tentativo di racchiudere in Nove Palazzi i temi principali della vita e il perché della vita in un qualche modo venissero utilizzati. R. Non in qualche modo, ma in decine di modi, questo è il fatto. Nell’ambito della medicina cinese diventano ad esempio gli otto canali Straordinari. Ad esempio la salute è abbinata a Chong Mai, l’abbondanza è abbinata a Ren Mai, la generosità a Du Mai ecc. Oppure nell’ambito dei cinque movimenti, questi due sono abbinati al legno (salute, abbondanza), questi due sono abbinati al fuoco (generosità, relazioni), questi due al metallo (creatività, viaggi), questi due sono abbinati all’acqua (vocazione, saggezza), questo è abbinato alla terra (casa). Non entro in quest’ambito perché non è l’ambito della serata. D. Il posizionamento di questi Nove Palazzi così come sono in questo momento e come li fai vedere con i loro numeri venivano usati? R. E vengono usati. Questo nell’ambito della medicina cinese. Nell’ambito del feng shui, della geomanzia cinese vengono usati per stabilire i luoghi propizi e meno propizi, le disposizioni delle case, gli oggetti nella casa per modificare l’energia che c’è. D. Il fatto che l’otto sia di fianco al tre e all’uno e al cinque. R. Ha un altro significato ancora. D. Può offrire un modo di ragionare, di pensare. R. Sì, quindi tutta questa serie d’implicazioni.
D. Quando uno fa un’analisi della sua situazione della persona con cui sta lavorando e c’è criticità, debolezza, si ritorna sempre. Questa disposizione ci può aiutare a sapere, perché magari quel palazzo per noi è difficile e quindi in quel palazzo ci perdiamo. Prendiamo la vocazione, per me è un po’ difficile perché io nell’abbondanza ci vedo tanto, m’interessano un sacco di cose, quindi mi distraggo molto facilmente. La domanda è: siccome quest’intento, questa vocazione è un po’ difficile, è un palazzo che è un po’ come un labirinto. Si entra, si guarda un po’, poi si esce, qualche volta si rientra. Lavorare sui viaggi che è subito prima è una cosa che in realtà può aiutarmi a passare meglio attraverso la vocazione? Questa struttura mi dà anche una possibilità di movimento o di aiuto? R. Sì, non necessariamente però c’è questa sequenzialità, uno dopo l’altro. Bisognerebbe dare un quadro tuo. La vocazione, il fatto che hai detto che per me è un labirinto, t’indica com’è quel palazzo. Magari la generosità per me è invece è una stanza luminosa e basta. In base a quello capisci, oltre alla vocazione, quali sono gli altri che possono aiutarla perché sono quelli che per te sono più facili perché sono più completati e quindi puoi partire anche da quelli. Tenendo presente che se questo è un labirinto è uno dei temi della tua vita trovare qual è la propria vocazione. Può darsi che non sia un tema che si risolva in questa vita. D. Può facilmente essere? R. Certo e magari poi in un’altra vita questo tema è enunciato molto chiaramente. Mozart quando è nato, passi la vocazione in cui era dentro totalmente, ma molto ha avuto bisogno di coltivarlo. Aveva problemi su altri palazzi, da quello che si sa un po’ della sua storia. Alcune vite sono più monotematiche, vivono tutto quasi in un palazzo; alcune vite sono più distribuite. Oppure può essere per periodi della vita diversi. Sono tanti modi in cui lo possiamo leggere a livello personale.
D. Vedo che anche loro partono prima di tutto dalla salute, perché senza la salute è difficile essere generosi, è difficile avere relazioni, viaggiare, avere vocazioni. R. Però tieni presente che anche questo può essere letto a tanti livelli. Abbiamo detto salute fisica è una cosa, un altro è avere a che fare col tema della salute, per cui dicevo che quelli che adesso sono terapisti l’hanno come palazzo di lavoro importante nella loro vita e magari c’è pure la vocazione perché sentono di essere terapisti come loro vocazione. Non è detto, uno può essere un bravissimo terapista ma sentire che la sua vocazione è distribuita anche su altre cose, però a livello più profondo perché la salute è fondamentale per tutti. A livello spirituale il concetto di salute è sentire che ogni esperienza di vita è un’esperienza di guarigione. È chiaro che se io ho questo di base, affronto tranquillamente tutto il resto. C’è anche una lettura in questo senso. Lo posso però leggere anche in senso fisico, come stai dicendo tu. Se non ho un minimo di condizione di salute, come faccio a muovermi nelle altre cose?
D. Cosa intendi per guarigione? R. Qualche cosa che mi fa evolvere, che mi cambia verso qualcosa che è significativo per me. D. Diciamo è come se io, attraverso il cambiamento e le tematiche che ogni volta mi trovo di fronte, sia positive che negative, quindi tutt’e due anche le positive, scegliendo è come se agisse dentro di me un cambiamento. Il tornare a casa significa ritornare a se stessi, essere sempre di più se stessi. Il cambiamento in questa chiave? R. Il cambiamento sì, nel senso di andare sempre più vicini a se stessi, ma c’è soprattutto c’è quest’idea di esperienza di guarigione nel senso che è qualcosa che mi fa stare meglio, mi fa andare più in là. Stare meglio, in quel senso, anche se è una malattia. C’è quest’idea, ad esempio in molti testi, che la morte è descritta come il coronamento di una vita. È il completamento della vita, dell’esperienza. La morte è un processo di guarigione, un’assurdità, ma perché è in questo senso. È il completamento, anche una malattia. Chiaramente quando ci siamo dentro, è un po’ difficile sentirlo così.
D. Io mi sento completo nel momento in cui mi sento a casa? R. Sì. D. Mi sento a casa perché mi sento in contatto con me stesso? R. In maniera molto più semplice, a me è capitato di essere vicino ad alcune persone che stavano morendo. Per alcune questo concetto che quella era un’esperienza vitale era molto chiaro, in altre no. Se non lo è, senti che quello che ti sta accadendo è come una sorta di dannazione che ti è capitata, rispetto alla quale non puoi fare nulla, mentre nell’altro senso lo senti come qualcosa che fa parte di un percorso. È qualcosa che alcune persone hanno dentro e altre meno perché non l’hanno ancora trovata. L’ho fatto sul tema finale della morte, ma, a volte, su temi più piccoli è più facile sentirlo, però è questo.
D. Può essere letto anche come un movimento a spirale? Per cui tu ci torni per andare più su. R. Sì, certo. Torno a casa, poi si riparte per un altro viaggio. Ricordate che il diagramma di Tao vuol dire viaggio, camminare per cui sì, torno a casa e non sono più quello che era partito, ma sono sempre io, quindi c’è questo senso, e da lì ho lo stimolo per partire per un altro viaggio diverso da quello precedente. Pensate in quante tradizioni c’è il tema del viaggio, non se lo sono mica inventato i taoisti, no? Le dodici fatiche di Ercole, invece che Nove Palazzi c’erano le dodici fatiche. Torno e poi riparto in un viaggio che sarà diverso perché ho tutta l’essenza del viaggio che ho fatto prima. Uno può leggerlo come più vite. Ogni vita torno a casa e con la vita nuova riparto. D. Io intendevo anche nella stessa casa. R. Anche nella stessa vita, certo. In un periodo si è concluso un viaggio, ne parte un altro.
D. Lo volevo chiedere già l’altra volta, in realtà mi sembra sia connesso anche con questo tema del percorso, in sostanza. Quando parlavi di questo ricongiungimento che ci sarà alla fine con il Tao indifferenziato, mi chiedevo due cose: una se coincide necessariamente con la morte oppure se uno la può conoscere, per esempio, in vita una condizione di saggezza o di ritorno a casa, la seconda è se questo ricongiungimento con il Tao indifferenziato è solo un premio che viene dato solo a chi ha vissuto in un certo modo, come può essere nel cristianesimo, anche se contempla sempre la possibilità del pentimento, ma comunque si dice che il Regno dei Cieli sarà di chi ha vissuto in un determinato modo o se invece è una sorte, un destino che riguarderà tutti. R. Intanto mi chiedi di parlare di qualche cosa che non conosco assolutamente perché io lì non ci sono arrivato, però per quello che ho sentito dire da persone, vicini e da quelle parti attendibili, che ne parlano molto poco, tra l’altro, credo che quasi sicuramente si può dire che non è qualcosa legato alla morte, semplicemente può accadere. Non bisogna aspettare per forza la morte. È comune anche ad altre tradizioni. Nella tradizione buddista c’è il termine “colui che non fa ritorno” per indicare una persona che ha compiuto tutto. Però ci sono delle persone, completamente illuminate, che fanno ritorno per aiutare l’umanità, quelli che vengono chiamati bodhisattva nella tradizione buddista. Nel taoismo ci sono diverse figure: l’illuminato, il santo, il saggio che corrispondono a diversi livelli di questo tipo d’illuminazione. D. La domanda è se questa cosa viene data solo ad alcuni eletti come fatto particolare. R. Non c’è l’idea di un’elezione o di un premio per qualcuno, cosa che peraltro non credo ci sia nemmeno nella visione cristiana, vista in una certa ottica, però io non entro dentro perché non me ne intendo. C’è l’idea che semplicemente è un conseguimento che si ha. Ti faccio un esempio per rendere quest’idea. La bambina che gioca con le bambole a un certo punto si rende conto che non le interessano più le bambole e gli interessano di più i bambolotti che ci sono in giro, non è che è stata premiata da qualcuno perché ha lasciato le bambole. È semplicemente quello che accade di conseguenza al fatto che… Non è che uno viene premiato e diventa illuminato, ma è qualcosa che nasce da dentro e che diventa un conseguimento in questo senso. Se vuoi la visione dall’esterno, dell’infinito, dello shen, di solito, in quest’immagine è di una madre con le braccia aperte. Se qualcuno ha letto il Tao Te Ching si parla della madre di tutti gli esseri. C’è molto l’idea dell’universo come di una grande madre o come un grande utero, per cui c’è quest’idea, forse già detta la volta scorsa, di ognuno di noi come se fosse un feto e c’è questo cordone d’argento che lo collega con l’universo. Il resto è qualcosa che viene da sé. Quello che fa l’universo è di essere un utero che accoglie, poi è il bambino che nasce e che si sviluppa, non è la madre che gli dà il premio. Bravo ti sei comportato bene, adesso vieni al mondo. È il logico sviluppo di quello che è accaduto.
D. C’è un pezzo del Tao Te Ching che, se non sbaglio, dice: quando tu trovi qualcosa puoi solo perderlo e quando perdi qualcosa puoi solo trovarlo. Il concetto è quello che tu devi sempre stare alla ricerca sulla strada. R. Uno dei gusti dei maestri taoisti è giocare con le contraddizioni che, a volte, disorientano perché bisogna capire il significato. Io ho citato chi sa non sa, chi non sa sa. C’è molto di queste cose qui. Secondo me è molto fatto per evitare di cadere nei tranelli delle elaborazioni mentali in sé soddisfacenti, però va colto e va interpretato, naturalmente, perché uno potrebbe dire chi sa non sa, allora sto nella mia ignoranza ed è la condizione migliore. Oppure anche questo che hai menzionato tu può essere letto in tanti modi. È secondo di come lo leggiamo anche secondo una certa consapevolezza. D. Perché uno che sa, finalmente ho trovato la pace. Nel momento in cui dice così è il momento in cui magari deve vivere per custodire quello che ha trovato e perde altre cose. R. Il Tao che può essere detto non è il vero Tao; se ricordate, ho chiamato queste conversazioni sul taoismo e non sul Tao per questo motivo.
Conversazione sul taoismo di Franco Bottalo – terza serata
Giusto soltanto due piccolissime cose che servono per dare un collegamento al tema di questo incontro, ultimo di tre, che abbiamo chiamato conversazioni sul taoismo. Ripeto quello che ho detto come introduzione alle prime due conferenze. Il taoismo è visto in un’ottica un po’ particolare, nel senso che io non sono uno studioso di taoismo, non sono un esperto, la mia conoscenza del taoismo è molto pratica e nasce dal seguire gli insegnamenti di questo maestro che si chiama: Jeffrey Chong Yuen, maestro taoista, oltre che un terapista è un insegnante di medicina cinese. Ho molto la tendenza a un taoismo applicativo, in pratica nell’uso della terapia, nella pratica del Qi Kung e nella meditazione. È questa la modalità che vi propongo e vi presento. Il primo incontro era un’introduzione generale, abbiamo parlato un pochino del concetto di Tao, accenni alla storia del taoismo e ai suoi sviluppi. Con il secondo ci siamo focalizzati più specificatamente su un tema che è quello dei Nove Palazzi e che si lega molto al tema di oggi. Lo riprenderemo, in parte, questo tema dei Nove Palazzi senza approfondirlo, come la volta scorsa, perché si lega al tema di oggi. Un’altra cosa che intendo premettere sono gli insegnamenti di questo maestro. Jeffrey è il nome che ha preso venendo in America, si chiama Chong Yuen. È il patriarca di una tradizione taoista, l’ottantottesimo patriarca, nota come Purezza di Giada. Oggi parlando di questo concetto taoista, la cosmologia taoista dei Tre Puri, capiremo meglio perché si chiama Purezza di Giada. Il nome cinese è Shang Qing o Yu Qing, qing vuol dire puro, yu vuol dire giada, shang superiore. Parliamo un po’ di questa tradizione che è iniziata nel III sec. d.c., quindi piuttosto antica, una delle più antiche tradizioni taoiste. Parte di questa tradizione è di trasmettere insegnamenti, soltanto in modo orale senza scrivere per cui anche lui insegna senza scrivere nulla, però ci sono gli allievi che scrivono, questo è il riferimento. Questa tradizione della Purezza di Giada è molto basata sull’alchimia. Oggi parleremo un po’ anche della figura dell’alchimista, come accenno. Dopo che abbiamo parlato del concetto di Tao, di quest’idea della Via, dopo che abbiamo parlato di come questa Via si muova secondo alcuni principi, abbiamo accennato al principio del non invadere, del non infrangere, del non giudizio e altri criteri di questo genere e abbiamo visto come la vita si possa manifestare attraverso una sorta di missione da compiere. Abbiamo parlato di alcune aree in cui si può manifestare questa sorta di missione da compiere, che la volta scorsa abbiamo definito come i Nove Palazzi. Adesso andiamo un pochino indietro e parliamo di origine, una sorta di percorso a ritroso. Parlando di origine la vediamo sotto tre aspetti, uno da un punto di vista di quello che potremmo definire la cosmologia taoista, l’origine dell’universo in senso globale e totale, poi vedremo l’applicazione di questa cosmologia globale alla vita individuale, intesa come compimento di un destino e infine andremo a considerare quali sono le vie per realizzare questo destino, per compiere questa sorta di missione speciale, come detto la volta scorsa.
La cosmologia taoista parte da questo concetto, una condizione originaria chiamata Wu Ji, wu vuol dire vuoto o assenza, ji è un termine che indica sia una perla sia anche un perno, in particolare di uno strumento astronomico, c’è l’idea di un perno vuoto, l’universo inteso come caos indifferenziato.
Da questa condizione d’indifferenziazione, d’entropia dell’universo, questo è un termine della fisica moderna, qualche cosa manifesta la volontà di esistere, allora si parla di un Tai Ji, tai vuol dire grande, un grande fulcro, un grande perno, un grande asse di rotazione che contiene in nuce quelli che sono i simboli abbastanza noti dello Yin e dello Yang.
Questa forza di esistere che è ancora Uno a un certo punto si manifesta, manifestandosi diventa Due, c’è il concetto di separazione e abbiamo quello che viene conosciuto come lo Yin e lo Yang. Questa visione del Wu Ji, del Tai Ji, dello Yin e dello Yang è, a volte, concretizzata con delle figure, con delle entità che sono chiamate le Tre Purezze, San Qing, san vuol dire tre, la Tre Purezze, che sono come delle raffigurazioni emblematiche di questo processo di creazione dell’universo. Si parla di Yu Qing – la Purezza di Giada, Shang Qing – la Purezza Superiore, e Tai Qing – la Grande Purezza, questi tre aspetti. Queste sono tre qualità dell’universo, non hanno una forma, ovviamente, perché avere una forma, vuol dire già far parte della manifestazione della vita. Ognuno di noi ha una forma fisica perché siamo parte della vita, questi no.
Nella tradizione sono stati raffigurati come tre figure. Nei templi taoisti, di solito, li trovate, non nella posizione centrale, più importante, perché ci sono altre deità che sono più gettonate, ma di solito relegate un po’ in un angolo, poi vedremo come sono raffigurate, queste tre entità. Questi che vengono chiamati I Tre Puri o le Tre Purezze sono tre manifestazioni di quella che è la forza primordiale del Cielo.
Il diagramma di cielo, tian, è molto interessante nella lettura che dà il maestro Jeffrey Yuen. Si parte dalla componente che indica l’essere umano, l’uomo, poi l’uomo apre le braccia perché si rende conto che il mondo è grande, questo vuol dire da – grande. Aprendo le braccia e vedendo che il mondo è grande, guarda in alto e si rende conto che c’è qualcosa di ancora più grande. Con l’aggiunta della linea sopra abbiamo l’idea di tian, del cielo. L’idea di cielo è qualche cosa cui l’uomo apre le braccia per essere accolto. Per noi cielo o dio è maschile. Nella lingua cinese non c’è maschile e femminile, salvo che non venga specificato, ma nell’idea dell’universo c’è molto l’idea del materno perché c’è l’idea che il cielo è il luogo d’accoglienza totale.
Poi parleremo del concetto del feto spirituale che si collega con l’utero universale. Tian è quest’idea di universo, l’altro concetto che, spesso, viene usato per esprimere questa dimensione di tian, il termine tian ricorre nelle figure che abbiamo descritto, come cielo, è quello di Shen, normalmente tradotto con spirito infinito, spirito universale, forza primordiale. Shen è un altro modo per esprimere quest’idea di un principio infinito che è onnicomprensivo, se vogliamo assimilabile al concetto di dio o di divino che c’è nella nostra tradizione.
Da questa condizione d’universalità, c’è l’idea di creazione, creazione che diventa una limitazione, anche, perché dall’infinito si va verso il finito, il limitato. Questa creazione la possiamo vedere in questo senso cosmologico generale, per cui partiamo da questa condizione di un perno vuoto, al grande perno e alla divisione yin e yang, lo stesso concetto che nel testo taoista, forse il più classico dei classici, il Tao Te Ching, viene definito come l’Uno genera il Due, il Due genera il Tre, il Tre genera i diecimila esseri. Può essere raffigurato anche, emblematicamente, da queste figure, da queste Tre Purezze.
Queste Tre Purezze, spesso, vengono rappresentate anche da questi nomi, abbiamo questa parte comune Tian Zun, dove tian è il cielo, ci ritroviamo con il concetto di prima, il diagramma di cielo, zun vuol dire signore, a volte viene sostituito con il termine wang che vuol dire re, i Tre Signori del Cielo.
Yuan Shi, yuan è un termine che alcuni di voi, che studiano medicina cinese, conoscono, forse, perché vuol dire origine, origine primordiale, Yuan Shi Tian Zun – il Signore Celeste dell’Origine Primordiale.
Ling Bao, bao vuol dire tesoro, ling indica l’anima individuale, concetto su cui ci soffermeremo fra poco, quindi Ling Bao Tian Zun – Signore Celeste del Tesoro dell’Anima.
L’ultimo Dao è il Tao, quindi il concetto di taoismo, e De è virtù, come il titolo del libro Tao Te Ching, il libro della Via e della Virtù, Dao De Tian Zun – il Signore Celeste della Via e della Virtù.
Quando si vogliono raffigurarle come tre figure sono rappresentate come tre signori anziani, di colore uno blu, uno rosso, uno giallo. Il primo tiene in mano una perla, che rappresenta la perla della creazione, quest’idea del vuoto reso più artistico dall’idea della perla. Il secondo ha in mano un bastone, una specie di scettro nella forma di un fungo, di un fungo particolare che genera la vita. Il terzo, vestito di giallo ha in mano un ventaglio, perché sventagliando, si crea l’universo, l’applicazione della creazione dell’universo.
Questa è una sorta di visione cosmologica, poi c’è un modo un po’ più specifico di vedere questa formazione che, sempre partendo dal cielo, l’universo, soprattutto dal concetto di Shen vede la creazione in termini di creazione di un singolo individuo, uno dei singoli diecimila esseri. Questa modalità parte dalla stessa idea di Shen, quindi di un principio infinito che, in qualche modo, si fa finito, si fa limitato, si fa delimitato per consentire di compiere un’esperienza. Ciò che consente il prendere forma è, nell’universo creato, l’unione fra l’uomo e la donna.
L’unione sessuale dell’uomo e della donna è visto come questo atto creativo, chiaramente è un atto creativo.
Al momento dell’unione dell’uomo e della donna, artisticamente è raffigurato come l’incontro del drago e della fenice. C’è il drago che ha una perla in bocca e la passa nella bocca della fenice, c’è l’idea, chiaramente, dello sperma, ma c’è anche l’idea di questa perla della creazione. C’è quest’idea che l’unione dell’uomo e della donna è una sorta di vibrazione universale, vibrazione cosmica che consente il crearsi di una forma. L’unione dell’essenza di un uomo e di una donna crea una forma e se l’universo, se lo Shen infinito sente che quella forma è quella che può consentire lo svolgimento di un certo percorso, ecco che l’anima entra in questa forma e abbiamo il concepimento.
C’è quest’idea che ogni individuo che viene al mondo, per semplificare, per il 50% dipende dall’eredità cromosomica dei genitori, il termine che viene usato è quello di Jing, l’essenza dell’uomo e della donna, ma per un altro 50% è un’emanazione dell’universo. Per questo, quelli che hanno più di un figlio sanno come due figli possono essere molto diversi fra loro, anche se i genitori sono gli stessi. Qui c’è quest’idea che il concepimento è qualcosa che fa sì che una forma, che si sta creando, sia impregnata dell’essenza universale. C’è l’universo infinito che, in qualche modo, si fa finito, si limita perché qualche cosa, all’interno di quest’universo, vuole vivere l’esperienza della vita, vuole esistere.
Per esistere deve assumere una forma. Questo qualcosa che assume una forma viene definito Ling, anima individuale. Il motivo per cui, quest’anima individuale, assume una forma, questo ci ricollega a quello che abbiamo detto nella lezione scorsa, perché sente il bisogno d’imparare qualche cosa, di apprendere una lezione, quello che la volta scorsa abbiamo codificato nei Nove Palazzi, nove campi d’apprendimento. Siamo nati per imparare qualche cosa e impariamo attraverso l’esperienza del vivere. L’esperienza è il nostro campo di lavoro. Quando facciamo esperienza, quello che proviamo è che impariamo delle emozioni, queste emozioni ci cambiano. Il fatto che un individuo abbia una certa forma, che sia fatto in un certo modo, gli consente una certa esperienza piuttosto che un’altra, pensiamo semplicemente alla forma maschile o femminile. Il fatto che sia uomo porta a fare certe esperienze, il fatto che sia donna a fare altre esperienze; il fatto che sia nato italiano, svizzero, giapponese, islandese ci porta a fare esperienze diverse che sono quelle che quell’anima individuale specifica sente il bisogno di compiere. Questa creazione individuale porta alla formazione di un individuo specifico, di un ling individuale specifico, per cui ognuno di noi, da questo punto di vista, è un ling, è un’anima individuale. Ognuno di noi partecipa dello Shen infinito, ma nessuno di noi può dire di essere lo Shen infinito. Questo ling, quest’anima individuale, ha diversi aspetti, ma qui, alla finalità di oggi, ne vediamo soprattutto tre di questi aspetti. Un aspetto che viene chiamato Hun, un aspetto che viene chiamato Po e un aspetto che viene chiamato piccolo Shen.
Semplificando molto il Po rappresenta quell’aspetto dell’anima individuale, io dico personalmente un po’ scherzando, a cui piacete come siete. Sono contento di essere in questo corpo, quindi voglio starci ancora per un po’. È il nostro, in termini un po’ più raffinati, istinto di sopravvivenza. Per avere un istinto di sopravvivenza dobbiamo un po’ piacerci, se no, chi se ne frega di morire alla prima occasione. Ho un mucchio di problemi nella vita, ma di buttarmi giù nel burrone non ho tanta voglia, è il Po che si attiva. Dice: ma perché, in fin dei conti non sei così male, ci sono un po’ di problemi nella vita, però dai mi piaci come sei. “Ormai sono vecchio, ho le rughe”, “ma no dai, hai un fascino”. Il Po rema in quella direzione. È il nostro attaccamento alla forma, che è importante perché, se non fossimo attaccati alla forma, non vivremmo neanche. È il primo aspetto che prende presa sulla forma che si sta creando. “Sì, ok, ti voglio”.
A bilanciare il Po abbiamo lo Hun, che è quell’altro aspetto dell’anima che mantiene la connessione con lo Shen infinito, attraverso anche il piccolo Shen. È quell’aspetto che ci dice: sì, ok, ti piace questa forma, però guarda che questa forma è qui perché ha degli obiettivi in questa vita, questo è il programma di questa vita, questa è l’agenda da seguire. Lo Hun è quello che è legato al tempo e allo spazio, quello che organizza, programma, proietta nel futuro, sente dove bisogna andare e spinge per andare verso quello che è la realizzazione dei nostri obiettivi.
Il terzo aspetto è il piccolo Shen, che è quello che radica dentro di noi il grande Shen, è quello che è la memoria e la consapevolezza di qual è il motivo per cui siamo al mondo. Quando, tipicamente, nelle crisi dei periodi della nostra vita, ognuno ha dei periodi della vita in cui ha delle crisi, quelle che si definiscono crisi esistenziali, è il piccolo Shen che è un po’ disorientato. Non so più bene qual è il senso della mia vita, non so più bene dove dirigere le mie risorse, non so più bene cosa sono qui a fare. La comunicazione fra il piccolo Shen che ha sede nel cuore e lo Shen infinito non è persa, ma è discontinua. Come quando non prendete bene la linea col telefonino, un po’ si sente, un po’ non si sente più.
Abbiamo queste tre componenti. Il senso di qual è lo scopo della nostra vita, parliamo della nostra missione, la chiarezza che questo è lo strumento che l’universo ci ha dato per compiere questa missione, anche se, a volte, pensiamo di no. È questo corpo che noi abbiamo, è questo cervello che noi abbiamo, è questo cuore che noi abbiamo, non è un altro. Ah!, se avessi quello lì, lui è più bello, è più bella di me o più intelligente o è più ricco, però sono fatto così. Lo Hun è quello che ci fa programmare la nostra vita, che ci dà la connessione di quello che abbiamo fatto e di quello che ancora dobbiamo fare, quindi guarda al passato e guarda anche al futuro. Soprattutto, in un altro aspetto, lo Hun è molto legato è quello che, in medicina cinese viene chiamato il Sangue. Lo Hun, attraverso il fegato, trattiene il sangue e quello che è il nostro sangue è anche, a livello emotivo, quello che noi stiamo scegliendo di tenere dall’esperienza del vivere. Quello che circola nel nostro sangue è quello che circola nel nostro cuore, le nostre emozioni, le nostre passioni. Che cosa anima la nostra vita è questo, quello che stiamo trattenendo, quelle che sono le nostre passioni. Questi sono tre aspetti importanti. Il piccolo Shen, che ha sede nel cuore, è quello che ha, o dovrebbe avere chiaro, il senso, il termine cinese è Ming, normalmente tradotto come destino. Io però non amo molto il termine destino, perché molto spesso, nella nostra tradizione, è un termine associato a qualcosa d’ineluttabile. Io preferisco tradurre questo termine ming, alternativamente, come la nostra missione o la nostra passione. Che cosa ci appassiona nella vita, qual è quella che sentiamo essere la nostra missione nella vita. Chiaramente il termine destino va benissimo, intendendo il destino non come qualcosa che un dio un po’ bizzarro ci ha messo sulle spalle ma come quello che ci serve per apprendere qualcosa che non abbiamo ancora appreso. Nel taoismo, più specificatamente, si usa il termine lavoro non compiuto. Siamo qui a vivere perché c’è un lavoro non compiuto. Nelle vite precedenti non abbiamo fatto tutti i compiti che dovevamo, c’è rimasto qualche cosa ancora da fare. Siamo qui per completare qualche cosa. L’idea di questo destino o di questa missione è l’idea di un’opportunità che la vita ci offre, non una maledizione che c’è su di noi, il destino secondo la visione dell’antica Grecia. Edipo, il suo destino è che si sarebbe accoppiato con sua madre, una cosa terribile. Qui c’è l’idea che quello che ci viene dato è qualcosa che ci serve per apprendere e imparare. La domanda cui arriveremo come ultima cosa è: ma io lo so qual è il mio destino, so davvero qual è la mia missione? Quando si dice missione, non dovete pensare che per forza di debbano fare delle cose sensazionali o scalare una montagna o fare jumping da un viadotto o cose di questo genere. Missione nel senso di quello che, di nuovo, anima la mia vita. Cosa mi anima nella vita. Avere anche chiarezza che il corpo e la mente che ci sono stati dati sono gli strumenti per realizzare questo, non quelli di un altro. A volte non ci piacciamo tanto, il nostro Po magari è un pochino debole in quel momento, sentiamo che potremmo essere più giovani, più belli, più intelligenti, addirittura vorremmo essere dell’altro sesso o di un altro pianeta o di un’altra cultura. Basta con questi italiani, vorrei essere svizzero, basta con gli svizzeri vorrei essere italiano, però se qualcuno mi dicesse: scegli la persona che trovi più affascinante, ti scambieresti totalmente con lei? È raro che uno dica di sì. Magari uno prenderebbe volentieri la sua bellezza, ma diventeresti proprio lei, totalmente, completamente? Probabilmente uno direbbe forse no, perché qualcosa dentro di noi sente che noi andiamo bene così. Non in un senso di compiacimento per come si è e starci fermi, ma che noi abbiamo tutto quello che ci serve per portar avanti, quella che è la nostra strada, quello che è il nostro percorso, il nostro cammino.
Per chi non c’era la prima lezione, il termine Dao vuol dire via, vuol dire cammino, vuol dire strada. Ognuno sulla propria strada. Ogni tanto, periodicamente, è importante dirsi cosa anima davvero la nostra vita. La lezione che abbiamo fatto qualche mese fa trattava proprio questo tema. Sintetizzava, semplificava i temi della vita in nove aree. Ognuno era invitato a riflettere se quella era una sua area di lavoro, un campo di lavoro piuttosto che un altro. Può darsi che, a un certo punto della vita, un’area si compia, si esaurisca e si apre lo spazio per un’altra differente.
Il terzo tema che vorrei andare a toccare è: le modalità che ognuno di noi può avere per portar avanti questo percorso. Si sono semplificate tre modalità, che poi andremo a vedere. Prima vorrei accennare a un ultimo aspetto di questa trilogia. Il tre è qualcosa che ha molto a che fare con il taoismo. I taoisti sono molto affascinati dal tre, dal multiplo del tre che è il nove, dal multiplo di nove che è l’ottantuno. Abbiamo visto i Tre Puri, le Tre Purezze, i Tre Signori del Cielo – Tian Zun e questo può essere visto anche applicato al corpo umano.
Così come là avevamo i tre tesori dell’universo, qui abbiamo i tre tesori dell’essere umano, San vuol dire tre e che vengono definiti come Dan Dien, San Dan Dien. Sono il riflesso nel nostro corpo di queste tre dimensioni, di questi tre signori dell’universo. A volte ci sono delle immagini in cui vengono raffigurate le immagini questi tre anziani nei tre colori di questi tre centri oppure se si vuole essere più iconografici, ci sono dei simboli. C’è quest’idea che questi tre aspetti dell’universo sono dentro di noi e rappresentano tre aspetti della nostra esistenza. Dien vuol dire campo, questo ideogramma rappresenta un campo che è diviso perché è un campo coltivato, non è un campo incolto, quindi un campo, dove si coltiva qualche cosa. Dan indica, in senso lato, una sostanza molto preziosa, il termine più stretto solfuro di mercurio, il cinabro, ecco il legame con l’alchimia. I tre campi dove coltiviamo qualche cosa di prezioso, che sono ancora le Tre Purezze, se vogliamo. Specificatamente riferiti al corpo, vengono definiti come Jing, che essenzialmente vuol dire essenza, Qi, normalmente tradotto come energia, ma qui lo vediamo come movimento, come cambiamento, come relazione e Shen di cui abbiamo già parlato prima. Nel processo alchemico si dice che il Jing si trasforma in Qi, iI Qi si trasforma in Shen e lo Shen si trasforma in Wu, quel Wu visto all’inizio, quest’immagine di vuoto, di vacuità.
Il Jing rappresenta, semplificando un po’, l’essenza materiale della vita, il materiale grezzo da cui si parte. In un’altra lettura si parla di tre fiori, questo è chiamato il fiore di piombo. Il Qi è chiamato il fiore d’argento e lo Shen è chiamato il fiore d’oro. Aldilà della simbologia il senso è che noi abbiamo un materiale grezzo su cui lavorare. Un bambino appena nasce è molto grezzo. I genitori lo adorano e dicono che è perfetto così, ma è molto grezzo. Tutta la vita è un lavoro per cesellare quest’aspetto grezzo. Come lo ceselliamo? Mettendolo in relazione con il mondo. Qi, anche se viene tradotto con energia, con movimento, è relazione, è mettersi in relazione col mondo. Nel momento in cui mi metto in relazione col mondo, sono in movimento, sono in un processo di trasformazione perché mettendomi in relazione, cambio. Se non ho voglia di cambiare io, ci pensa il mondo a farmi cambiare. Tutti possono aver avuto esperienza nella vita quando opponevano resistenza al cambiamento. Questo processo di relazione mi fa diventare diverso da quello che ero, perché l’esperienza mi modifica, mi cambia, l’esperienza consapevole. A volte devo tornare più volte alla stessa esperienza finché qualcosa mi cambia, allora quando l’esperienza diventa consapevole, entro nella dimensione dello Shen. Qualche cosa è acquisito nella sua essenza, nella sua purezza totale, diventa oro. Non è l’oro contrapposto al piombo, ma il piombo diventato oro. Magari c’è capitata un’esperienza che per noi era piombo, magari abbiamo avuto una relazione affettiva che abbiamo sentito pesantissima, magari abbiamo divorziato e l’abbiamo sentito come un macigno sopra di noi, tutto nero, tutto buio, tutto pesante. Riuscendo a elaborarlo siamo riusciti poi a estrarne l’oro o forse non ci siamo ancora riusciti e dobbiamo ancora lavorarci, su qualcosa l’abbiamo fatto, su qualcos’altro meno. C’è questo senso di riuscire a trasformare l’esperienza perché diventi consapevolezza.
Questi sono anche tre centri fisici del corpo. Il Dan Dien inferiore, viene chiamato la zona del bacino, la cavità del bacino delimitato dalla cavità ossea. Il Dan Dien medio, legato al Qi e all’argento è associato alla cassa toracica, le nostre emozioni. Quando abbiamo delle emozioni, di solito è qui che le sentiamo. La paura si sente un po’ più in basso, però, fondamentalmente, le emozioni sono qui nel petto, perché la relazione vuol dire sperimentare emozioni. Il Dan Dien superiore, il cranio, è l’area della consapevolezza, il centro della consapevolezza, abbiamo l’idea di tre centri fisici che sono definiti dalla curvatura della colonna vertebrale, anche. Sono tre luoghi in cui abbiamo questo processo di trasformazione. Vengono anche considerati, questo legato alla terra (inferiore), questo al cielo (superiore) e quello intermedio all’essere umano, l’umanità. È la relazione dei tre che porta alla consapevolezza.
Questo (superiore) è associato, nelle definizioni di prima, alla purezza di giada, Yu Qing, questo (intermedio) a Shang Qing, purezza superiore, e questo (inferiore) a Tai Qing, grande purezza, quindi i tre, un lavoro di purificazione.
Volevo arrivare la tema finale di questa conversazione che è: che vie uso per conseguire quello che non ho ancora conseguito, per ottenere quello che non ho ancora ottenuto? La volta scorsa abbiamo parlato di quest’idea dei Nove Palazzi, che riprendo molto brevemente perché può essere strumentale a quest’altro discorso. Abbiamo detto che una delle visioni del taoismo è questa: i Nove Palazzi sono nove campi di lavoro, nove aree di lavoro, nove temi che accompagnano la vita. Tendenzialmente, nessuno di noi ha come vita il lavorare su tutti e nove, ma ci sono alcuni temi che sono predominanti. Ad esempio, il primissimo che viene menzionato nei Nove Palazzi è il tema della salute, poi c’è il tema dell’abbondanza, poi c’è il tema della generosità, poi ci sono tutta una serie di altri temi: le reazioni, i viaggi, la conoscenza e tante altre cose. Pensiamo soltanto ai primi tre: il tema della salute. Alcune persone, nel proprio cammino individuale, hanno molto a che fare col tema della salute. Qui, come dico sempre, diversi perché se non sulla propria salute, sulla salute degli altri perché diverse persone qua dentro sono dei terapisti, quindi solamente per queste persone la salute è un tema importante. Questi Nove Palazzi sono come una sintesi di aree e un invito a chiedersi, guardandoli tutti e nove, ma questo è un campo in cui finora la vita mi ha chiesto di lavorare molto o no? È un campo in cui ho già lavorato molto, forse posso ritenerlo concluso e passare ad un altro? Per riuscire a capire ciò che mi viene chiesto ancora di compiere in questa vita, quali compiti ho già svolto e quali posso chiudere ed è inutile che stia ancora lì a ristudiare sempre le stesse pagine e quali invece, forse è il caso, che prenda in mano e mi decida a studiarli perché per tutta questa vita li ho messi sempre nel cassetto che stava sotto. Questo era il tema, un po’, dello scorso incontro. Abbiamo analizzato questi temi e poi ho invitato ognuno a pensare quali erano i temi della propria vita. Ci sono alcune persone cui il destino ha affidato qualcosa di più monotematico: no figli, no carriera, no questo, no quello e magari tutto in un unico campo. Qualcuno, invece, come destino ha da lavorare su più aree: per un certo periodo della mia vita ho fatto la madre, però prima ho fatto la ballerina di can-can e dopo faccio i trekking sull’Himalaya, é un po’ diverso. Invece qualcuno dice: tutta la mia vita dedicata ai figli oppure tutta la mia vita dedicata alla carriera o tutta la mia vita dedicata a curare gli altri. Certi medici, certi terapisti non si sposano, non fanno soldi, non hanno grandi relazioni e sono concentrati soltanto su quello. Il tema specifico in cui lavoriamo oggi è: quale via per realizzare questa che io chiamo la nostra missione individuale. Dico sempre che ognuno di noi è qui in missione speciale e, supponendo che abbiate capito qual è la vostra missione, per lo meno in questo periodo della vita, o quali sono le vostre missioni, qual è la vostra agenda da svolgere, quali vie (percorrere).
Uno dei modi di presentare questo nel taoismo è di descrivere quella che viene chiamata la Via dell’eroe, o anche la Via del guerriero, una prima via, parliamo del Tao, quindi la Via, la Via dell’eroe o anche la Via del guerriero, se vi piace di più. Guardo la vita e mi rendo conto che ci sono delle cose che così non vanno bene, mi rendo conto che ci sono delle cose che vanno sistemate e sono pronto a lavorare strenuamente per modificarle. Ci sono delle sfide che la vita mi presenta. Magari chiedo di studiare e faccio fatica a studiare, ma questa è una cosa molto importante per me, quindi metto un mucchio d’energia per studiare oppure non faccio fatica a studiare, ma ho pochi soldi, non riesco a mantenermi agli studi, avrò da coinvolgermi in più storie, dal fare il lavapiatti per poter poi la notte studiare e conseguire un titolo di studio. Magari non è lo studio, magari sono molto intenzionato a fare dei figli, ma non mi vengono facilmente. Ci riprovo, ci riprovo finché riesco ad avere dei figli. Il campo medico spesso è una Via dell’eroe, il campo della terapia. Voglio dedicare la mia vita a debellare la malattia, devo combattere la malattia oppure nel campo sociale, voglio eliminare l’ingiustizia del mondo e dedico la mia vita a combattere l’ingiustizia del mondo. Questa è una possibile via, è una via in cui sentiamo che ci sono delle sfide nella vita e siamo disposti ad accettare queste sfide, a lavorare per cambiare quello che è, anche dentro di noi. A me hanno detto tantissimo, nella mia vita, che ho un pessimo carattere, per tantissimi anni mi sono detto che non è mica vero, si sbagliano tutti. A un certo punto mi sono detto che forse dovrei cominciare a lavorare per cambiare qualcosa, è diventata una sfida. Non l’ho vinta, però è lo stesso, insomma. L’idea del viaggio dell’eroe è comune a tutte le tradizioni, tutte le mitologie hanno l’eroe, Ercole, oppure qualunque altra figura. Il viaggio dell’eroe che, con tutta la sua forza, cambia le cose, cambia il suo stesso destino. La vita ci presenta delle sfide, questa è una premessa importante. Lo scorso week-end, facendo un seminario, parlavamo di questo tema: la vita non è tutto rose e fiori, non è un’eterna primavera. Se fosse un’eterna primavera, non saremmo molto stimolati a fare un lavoro su di noi, se va tutto bene perché devo fare qualche cosa, sto lì, dove va tutto bene. Se siete al mare col vostro amore in una bella giornata d’estate, neanche troppo calda che dia fastidio, che cosa vi viene da fare? Niente. Chi è così stupido da fare qualche cosa in quella condizione. Aspetta, che vado a spaccare la legna, ma perché. Non fa freddo, si sta così bene qua. Invece se siete da soli su una montagna, al freddo, vi viene da andare a spaccare la legna per scaldarvi. La vita ci presenta delle sfide, attraverso la sfida impariamo qualche cosa, come rispondiamo a questa sfida o, qualcuno potrebbe dire, a quest’opportunità.
L’altra via è quella che viene chiamata la Via del santo. Se questa è la via della sfida, la Via del santo è la via dell’accettazione. C’era questo famoso medico dell’antichità che era alchimista e che si chiamava Sun Simiao che, a un certo punto, ha dedicato parte della sua vita, vivendo dentro un lebbrosario, prendendosi cura dei lebbrosi, lavando le piaghe, le ferite, coccolandoli, così via. C’era molto questo senso d’accettazione, in condizioni in cui: cosa si poteva fare per cambiare qualche cosa? Poteva cambiare l’atteggiamento, non poteva guarire le persone che erano malate di lebbra, il senso di accettazione. Alcuni, di fronte ad una condizione della vita riescono ad accettare quello che è. Prima hai avuto un periodo che pioveva molto, ricordate? Anche domani pare che piova. Che cosa puoi fare, visto che domani pioverà? Aprire l’ombrello, stare in casa. Ci sono alcune opzioni, ma sono tutte un po’ opzioni di accettazione. Qualcuno potrebbe dire, se è un vero guerriero, no, c’è una possibilità, stasera prendo un aereo e domani sono ai Caraibi. Uno che, veramente, sia un guerriero potrebbe fare così, un eroe ricco che ha anche voglia di fare. Questa è l’altra via, accettare la realtà del mondo, accettare che il mondo è così, che il mondo include non soltanto cose divertenti e simpatiche, ma anche cose che non funzionano come vorremmo che funzionassero. In realtà è un pochettino più sottile di così. Il termine che spesso viene tradotto come santo, è questo termine zhen che vuol dire autentico, cioè persona che riesce a essere in contatto con l’autenticità, essere in contatto con ciò che davvero conta, quello che noi potremmo dire, andare oltre certe apparenze, cogliere l’essenza della vita, aldilà della manifestazione specifica della vita. Alcune persone sono, tendenzialmente, più portate a questo tipo di cammino, a questo modo di confrontarsi rispetto alle sfide della vita, riconoscendo le cose per quello che sono, accettando non soltanto gli altri, ma accettando anche se stessi, accettandosi per quello che si è, piuttosto che sfidare quello che si è per diventare qualcosa di diverso. Ognuno di noi, magari lo state già facendo, ha una delle due idee che piace di più. Potremmo anche fare per alzata di mano, mettere una crocetta, se volete, però non ha molta importanza.
Nel pensiero cinese c’è una terza via. Lo zampino taoista dice: due non mi piace, metto la terza. La terza via è quella che viene definita la Via dell’alchimista, detta anche la Via di mezzo. La Via di mezzo è un termine della tradizione buddista, il Buddismo è considerato la Via di mezzo, però c’è anche qui, non nel senso che cerchi un compromesso. Può essere divisa la via di mezzo in due termini che non sono esattamente identici. La Via di mezzo, in prima lettura è: santo cielo, ci sono delle cose che devo per forza accettare e ci sono delle cose che sarà il caso che io cambi. In realtà, devo riuscire a vedere qual è l’alchimia dei processi che ci sono, che cosa può diventare qualcosa d’altro e qualcosa no e che cosa no, che cosa posso trasformare e che cosa no. Essere molto attenti e consapevoli a percepire cosa posso cambiare e cosa no, perché il rischio, a volte, è di usare le proprie energie per cambiare quello che non si può cambiare e arrendersi di fronte alle cose che potremmo cambiare. Di solito, ad esempio, quando c’è una crisi in un rapporto di coppia, molto frequentemente, per lo meno, ma molto frequentemente al punto che è quasi la totalità dei casi, ognuno è convinto che tutto si potrebbe risolvere molto semplicemente, se soltanto l’altro cambiasse due o tre cose, che dal nostro punto di vista non sono neanche granché, peccato che l’altro, di solito, la vede esattamente allo stesso modo, che il rapporto si potrebbe salvare, se soltanto l’altro cambiasse due o tre cose, oppure, a volte, usiamo un mucchio d’energia per cercare di cambiare l’altro. Magari, se osserviamo bene, potremmo renderci conto di una cosa molto semplice, che noi non possiamo cambiare l’altro, perché è roba sua, ma possiamo cambiare noi. Ah, non ci avevo pensato! Io posso cambiarmi, no? Chi me lo impedisce. Andare a cambiare qualcun altro è più difficile. Il senso della Via di mezzo è un po’ osservare la realtà e chiedersi se quello che sta accadendo è qualcosa rispetto al quale non posso fare niente, se non accettare. Questo, ad esempio, è una via che spesso, dopo lunga fatica, un genitore si rende conto di dover compiere rispetto a un figlio. Ha provato per tanto tempo di cercare di cambiarlo, bastava che cambiasse sette o otto cose che aveva in mente lui, perché il figlio andasse bene com’era, ma il figlio non l’ha fatto. Noi volevamo che trovasse una brava ragazza, che avesse un buon lavoro, che facesse qualche figlio, non troppi, e invece che mettersi con una simpatica sartina si è messo con una che è tutta tatuata sulla schiena e con un piercing nel naso e da altre parti ancora. Che cosa possiamo fare, forse possiamo esercitare l’accettazione. Quest’idea di rendersi conto quando dobbiamo accettare quello che è e, a volte, renderci conto, che forse accettando qualche cosa, questo qualcosa incomincia a cambiare e può essere molto sorprendente dentro di noi ma anche al di fuori di noi nel mondo che ci sta attorno. Accettiamo che piove e per meraviglia dopo solo quarantacinque giorni ha fatto un giorno di sole, se fossimo in Inghilterra, sarebbe peggio, ci vuole molta più accettazione. A volte, curiosamente, accettando una condizione, sentiamo che la condizione è cambiata, a volte anche la nostra condizione. Accettando un aspetto di noi che non sopportiamo, è come se gli togliessimo un potere e quindi consentiamo che quella cosa possa cambiare. Come vedete, io faccio l’avvocato che va a sostenere tutte le parti. La Via dell’alchimista può essere vista in un altro modo ancora. Non è questione di accettare il mondo, nel senso di dire che il mondo è bello così com’è, ma quest’idea che il mondo sono gli occhi che lo guardano e che quindi un modo per cambiare è cambiare la prospettiva con cui guardiamo le cose. Riuscire a vedere da un’angolazione diversa, riuscire a vedere le cose in un modo in cui non l’abbiamo viste finora, riuscire a cogliere il processo alchemico di trasformazione che sta avvenendo e che noi non riusciamo a vedere. Riuscire a cogliere il senso più profondo, aldilà dell’apparenza e della superficie delle cose, a volte non è così facile, naturalmente, di fronte a certe situazioni o sfide della vita, però questa via c’invita a vedere anche questo. In diversi ambiti c’è quest’idea di lavorare sugli organi di senso, di stimolare gli organi di senso in modo che vedano, sentano, annusino, percepiscano in modo diverso, questo non soltanto nel taoismo. La terapia è di ascoltare in un modo diverso, il canto, il mantra, il suono, la musica. Pensate, senza andare a fare cose troppo filosofiche, magari siamo un po’ giù di umore, ci siamo svegliati che non girava tanto bene, il suono del mondo non ci piace tanto e, non succede più, nella casa di fianco qualcuno canta con una melodia soave e ci cambia l’umore. Una volta c’erano i muratori che cantavano mentre lavoravano, adesso non ci sono più, hanno l’Ipad anche loro, però, magari, metto nell’orecchio una musica di Ipad che mi piace e mi tiro un po’ su. Sento un’altra musica oppure la terapia degli aromi, degli incensi. Annuso il mondo in un modo diverso. Uso dei colori, sono un po’ depresso cerco dei colori che mi tirano su. Cerco di guardare con occhi diversi il mondo, non posso cambiare il mondo, posso cambiare gli occhi con cui lo guardo. Di solito, quando siamo in un momento di crisi, è difficile farlo, anche se sarebbe molto potente. Se pensate alla vostra vita, se andiamo indietro, pensiamo a certe situazioni che vent’anni fa o trent’anni fa, quarant’anni fa guardavamo in un certo modo e come le guardiamo diverse adesso, non sono cambiate, sono proprio diverse. Quella donna che amavo tanto è fuggita, faccio sempre l’esempio, con il ballerino di tango argentino e gli occhi con cui vedevo era che la vita non aveva più senso, ho provato anche tre volte il suicidio ma non sono neanche riuscito a fare quello, mi sentivo ancora più depresso perché valevo così poco che non riuscivo neanche a eliminare la vita, quel cavolo del mio Po era riuscito a combinarmene una delle sue. Adesso, magari, la vedo vent’anni dopo, la vedo in un modo diverso, un essere di luce che passa per strada, anch’io sono un essere di luce, é anche un po’ ingrassata, a volte è vedere con gli occhi diversi. In realtà, come sanno alcuni di voi che mi hanno un pochino seguito, il taoismo ama molto le contraddizioni, ama molto dire una cosa e poi il contrario dell’altra, non perché tutto sia uguale, ma per evitare di fissarsi su una cosa. Il maestro Jeffrey Yuen una volta ha detto: quando si fanno questi discorsi, tutti amano la Via dell’alchimista, dice che figa quella via lì, però non è così facile da seguire nelle situazioni perché presuppone un grosso lavoro dietro. In realtà tutte queste tre vie non sono facili da seguire e tutt’e tre sono delle ottime vie o meglio è un modo di sintetizzare tre approcci che possiamo avere di fronte a una situazione di sfida o di difficoltà che la vita ci presenta. Ognuna delle tre può andare benissimo, nel momento in cui è vissuta in modo consapevole, in cui sentiamo che quella è la risorsa cui possiamo attingere. A volte siamo così sfiniti, perché abbiamo sguainato la spada per vivere, per anni che possiamo fare solo due cose o usare la spada per tagliarci la testa o provare a deporre la spada e seguire la Via dell’accettazione. A volte, però, quando abbiamo accettato, accettato, può essere il momento di sguainare la spada. Altre volte ancora può essere fermare tutto, né accettare, né sguainare la spada e dire proviamo a guardare questa cosa in un modo diverso. Non c’è n’è una che è quella giusta, ma sono tre proposte o meglio ancora sono un invito a chiederci: ma io cosa sto usando, come la volta scorsa rispetto ai Nove Palazzi, quale via sto usando per vivere la vita, principalmente, di queste tre e va bene che vada avanti ancora a usarla o devo cambiare qualche cosa o magari è andata bene per questa situazione o per quest’altra ma per quest’altra situazione andrebbe meglio quest’altra? Per aiutare questo processo di trasformazione, di cambiamento consapevole che mi porta sempre più vicino al completamento della mia missione in questa vita. Io avrei anche finito di parlare, spero che dopo il normale momento di panico ed esitazione ci sia qualcuno che abbia voglia di fare qualche domanda. Abbiamo toccato un’infinità di temi, per cui ci possono essere un’infinità di domande.
D. Scusa Franco, mi vengono in mente altre tradizioni dove è molto presente un discorso legato all’attaccamento, nel senso che uno ha l’ego e altro, c’è un ostacolo anche nella realizzazione di questo percorso, come spiega il taoismo, c’è da superare un certo tipo di attaccamento a una certa situazione, a certe cose? R. L’idea qui è che c’è l’aspetto duplice, da un lato io devo essere attaccato perché io ho un ego, perché se non avessi un ego, se non avessi un attaccamento, forse sarei puro spirito, perché mai avrei dovuto incarnarmi? Da un lato io ho bisogno di un attaccamento, pensate all’attaccamento alla forma fisica, ad esempio, per potermi sostenere nella vita. Devo essere, in qualche modo, appassionato di qualche cosa e questo fa sì che questo sia anche il mio limite, che sia la mia dipendenza. Le passioni sono un’arma a duplice taglio, nel senso che da un lato per vivere, io devo provare passione per le cose per cui sono qui. Se siete qui stasera, magari anche a ragione o torto pensate che poteva interessarvi essere qui stasera, avete fatto certe rinunce per essere qui stasera, avete una passione per l’argomento, magari adesso non ce l’avete più dopo che ho parlato un’ora, ma ce l’avevate prima già qualche cosa. Allo stesso tempo questa passione è qualche cosa che mi può anche accecare. Tu forse lo sai già, io amo personalmente usare quest’espressione, che non è un’espressione classica: vivere le passioni per liberarci dalle passioni o anche liberare le passioni per liberarci dalle passioni. Devo entrare in una cosa per poter uscire dall’altra parte, perché il senso della vita, il senso di quest’anima individuale, è che ha un cammino da compiere, è che deve fare delle cose, quindi deve entrare nelle cose, non può starsene fuori, ma entrandoci e vivendole se ne tira fuori. L’esempio che faccio sempre: pensiamo alle fasi della vita, uno nasce e vive con passione la sua infanzia, adora fare il bambino, adora succhiare la tetta della mamma, è tutto contento perché sta in piedi, io sono quarant’anni che sto in piedi, tutti dicono bravo, bravo, cosa ci vorrà mai a stare in piedi. Il bambino è tutto contento perché sta in piedi, poi dopo un po’ non è più contento di stare in piedi, ha bisogno di qualcosa d’altro che lo appassioni. Lo appassionano le bambole, lo appassionano i giocattolini, i primi videogiochi, poi a un certo punto queste cose non lo appassionano più. Entra nella passione ed esce dall’altra parte per andare oltre. Poi c’è qualcuno che a settant’anni è ancora tutto appassionato del piccolo videogioco nuovo che ha comprato, magari lo fa diventare più sofisticato, lo chiama automobile con tutti i comandi meravigliosi, ma un pochino è ancora quella cosa lì. Tendenzialmente in questa visione c’è l’idea che io devo entrare nella passione per andare oltre. Una volta Jeffrey Yuen ha detto, a proposito del non giudizio, che sarebbe un aspetto totalmente da ricercare, prima bisogna imparare il giudizio, per poter poi coltivare il non giudizio, se no, è troppo comodo. È uno star fuori da, invece questo è un andare oltre che è una cosa diversa. Un conto è non riuscire ad affrontare qualche cosa, come nella favola della volpe e dell’uva, tanto è acerba, col cavolo è maturissima. Andare, vivere e riuscire ad andare oltre, andare dall’altra parte. Se vogliamo è un’immagine che c’è nel buddismo, che dice che tutti i problemi sono dovuti all’attaccamento, però dice anche il Buddha che, riferito un po’ a un altro contesto, ha gli strumenti, uso la zattera per attraversare il fiume e quando ho attraversato il fiume l’abbandono, non sono così cretino da camminare nel bosco con la zattera sulle spalle, non dice così cretino perché è il Buddha. La possiamo traslare in questo senso, io entro nel fiume o entro nel mare della passione e ho degli strumenti che mi tengono su, ma quando sono dall’altra parte, lascio andare.
D. Volevo capire meglio questo discorso dell’andare oltre. Andare oltre in una passione potrebbe anche dire approfondire ulteriormente, faccio un esempio banale, non so, della musica. Ci sono dei musicisti che passano la loro vita vivendo la musica e andando oltre, forse, approfondendo sempre di più stili, commistioni di musica, ma vivono solo ed esclusivamente nella musica. Andare oltre ha due strade, uno va oltre e lascia quella passione e passa a un’altra oppure coltiva sempre di più e approfondisce quella passione. R. Sono due concetti diversi, uno è entrare sempre più in una cosa in modo da potersene impregnare completamente in modo da poterla veramente vivere fino in fondo, ma quando l’hai vissuta fino in fondo, la lasci andare, anche la musica, anche l’amore, magari ti ci vogliono tante vite. È come se fossi riuscito a succhiare l’essenza di quella cosa lì, allora la cosa non ti serve più, è uno strumento che hai usato; anche il più bello non vuol dire che è diventato brutto a quel punto, ma non hai più bisogno di viverlo così completamente. D. Come fai ad accorgerti che hai succhiato tutto quello che dovevi succhiare, se sei sempre più appassionato a questa cosa? R. IL termine corretto da usare è compiuto, che la cosa è compiuta perché non è più qualcosa che ti stimola e t’interessa, però bisogna stare attenti perché la diagnosi non è così facile, perché, a volte, tendiamo a dire che qualcosa non ci stimola e non c’interessa perché è troppo faticoso entrarci dentro.
D. Bisogna sempre arrivare al compimento, nella passione, perché debba finire? R. Perché è lì per insegnarti una lezione. La passione è legata alle emozioni che noi proviamo. È lì per dare una lezione, quando la lezione l’hai imparata, perché starci ancora? Senti che stai perdendo tempo. D. Solo per il fatto che sia piacevole. R. Pensa alla passione di un bambino. Quand’eri bambino, piccolo, piccolo, qual era la cosa che ti appassionava? Dimmene una. D. Non me lo ricordo. R. Ti appassionavano già le ragazze? A tre anni, no. Magari avevi una passione esagerata per il ciuccio. Adesso passeresti ore e ore con il ciuccio in bocca? D. Non è più la mia passione. R. Appunto, non è più la tua passione. D. Ho scelto io che non sia più la mia passione. R. Certo che scegli tu, non c’è qualcuno che te lo dice.
D. Mi pare di capire che in ogni caso si va a compimento sempre. R. Dopo un anno, due anni, cinque anni che ciucci il ciuccio, prima te lo volevano già togliere i genitori, poi a un certo punto lo butti via anche tu. Se no, puoi anche ciucciare per tutta la vita, però a un certo punto scopri cose più interessanti, i gelati, le fragole. Ci deve essere il senso del compimento. Il compimento vuol dire che una cosa si è esaurita. Qualcuno di voi che conosce la medicina cinese sa che nello schema dei dodici canali c’è un livello che si chiama Jue Yin, il compimento. Quando qualcosa è finito, è finito. Dobbiamo riconoscerlo, se no, rimaniamo legati a qualcosa che non è più vivo.
D. Importante è riconoscerlo. R. La tradizione buddista, se non sbaglio, in termini un po’ rudi dice: camminiamo trascinandoci dietro dei cadaveri putrefatti. Quante delle cose che ci trasciniamo dietro non sono più vive, un altro modo di dirlo. Si sono in qualche modo esaurite, ma non riusciamo a liberarcene. Se sono molto vive, vuol dire che dobbiamo ancora viverci
D. Quando è giunto il compimento, sempre il Tao Te Ching a un certo punto dice: quando tu hai trovato qualcosa è il momento di lasciarla. Tu sei arrivato al compimento, molli tutto, quindi perdi tutto. Penso che ci sia sempre un lavoro da fare. Quando pensi di aver raggiunto il compimento, c’è sempre qualcosa ancora da fare, perché quando tu sei convinto di qualche cosa, è il momento in cui tutto il lavoro che hai fatto, lo butti via. Ah, sono arrivato, basta. Non è così semplice da capire. R. Ti faccio degli esempi relativi. Uno ci tiene tanto a laurearsi, studia e si laurea. Dopo che si è laureato cosa fa? Alcuni vanno avanti a pigliarsi una seconda laurea, una terza laurea, una quarta laurea, ma perché non riescono ad andare oltre. Qualcun altro si laurea e usa quello che ha imparato dalla laurea per lavorare. Adesso è diverso perché non c’è lavoro per nessuno, ma una volta… Questo è il senso del compimento, sentire che qualcosa si è compiuto non è buttarlo via, è lasciarlo andare. Sono due concetti diversi. Se senti che lo stai buttando via, vuol dire che non è ancora compiuto.
D. Poi é importante che se arrivi al compimento di qualcosa, te se ne apra un altro. L’immagine della Via, il Tao, uno può pensarla come una sola tappa, in realtà può essere anche come tante entrate e uscite in continuazione. Probabilmente quando arrivi al compimento di una cosa, te ne accorgi, perché, forse, stai già dentro ad un’altra. D. Il compimento di una cosa, ma il tuo compimento totale, quando hai finito tutto il tuo lavoro… R. Si chiama completa illuminazione, ma non so cosa sia. Non hai più niente da fare, quindi non torni più. Nella tradizione buddista c’è colui che non fa ritorno.
D. Come fosse una assimilazione di cibo, metto dentro, poi quello che non ci serve lo buttiamo via, però abbiamo preso quello che c’è necessario. R. Esatto, anche sul cibo, a volte, non riusciamo a farlo tanto, ci riempiamo, però quando tu non senti più di avere attaccamenti. Lui diceva del desiderio, nella tradizione buddista non hai più desideri, sei un essere pienamente illuminato. Altrimenti ne conchiudi uno per poter dare spazio a un altro perché abbiamo ancora del lavoro non compiuto, abbiamo qualcosa ancora da fare. È questo che ci tiene qui, il fatto di sentire che non siamo degli esseri completamente autentici, questo zhen che dicevamo prima. Su qualcosa siamo realizzati, ma su tante altre cose, no. Importante è sentire quando qualche cosa per noi è compiuta per poterci muovere verso qualche cosa d’altro, perché non è così automatico. Come dicevi giustamente tu, come si fa a capire quando qualcosa è compiuto? Non lo so, perché, a volte, mi sono sbagliato, ci si sbaglia, non c’è una formula magica.
D. All’inizio sembra tutto chiaro, ho questa missione di compiere un percorso, poi che cosa succede, arrivo da qualche parte? Ci sono delle vite buttate che non compiono niente. Uno si chiede, di solito ce lo chiediamo guardando gli altri, perché è più facile. Noi siamo bravi, questo lo vediamo e questo non capisce niente. Questa missione iniziale vuol dire che poi si può infrangere o effettivamente si deve portare a compimento? R. In questa visione nessuna vita è buttata, è possibile che una vita proceda a un passo più veloce di un’altra. È come quando fai un viaggio, ci sono un mucchio di deviazioni dalla linea retta, ma fanno parte del viaggio. Anche l’acqua, dico sempre, che scende verso il mare fa un mucchio di deviazioni, perché deve tener conto delle resistenze, dei giri, ogni tanto ristagna poi riparte, poi diventa rapida, addirittura una cascata, si allarga, crea un acquitrino. Questa è la nostra vita. D. Al mare bisogna arrivare. R. Io non ho mai sentito di un fiume che si sia perso per strada e non sia arrivato al mare, né in Cina, né qua. Ognuno di noi è un fiume, arriviamo tutti al mare, a volte ci si mette più tempo.
D. Nel buddismo c’è la reincarnazione, qua quando ho compiuto tutto quello che dovevamo fare, non ci si reincarna più, nel taoismo è così? R. C’è un concetto simile. D. Perché quello che dovevamo fare e non l’abbiamo compiuto, mi reincarno una seconda volta e se non sono brava, mi reincarno… R. L’unica sfumatura un po’ diversa, è che, nella tradizione buddista, ma ancora più in quella induista, a volte, c’è anche l’idea che l’incarnazione è un po’ il frutto anche, non dico che sia una punizione, ma ha a che fare con cose non affrontate, In questa visione c’è, invece, più il fatto che è un’opportunità di fare qualcosa che non si è fatto. Peraltro poi nella tradizione buddista, ad esempio c’è anche l’idea del Bodhisattva, cioè di persone completamente illuminate che tornano nel mondo per aiutare il mondo. C’è un concetto simile anche nella tradizione taoista. L’idea è che quando non ho più niente da fare qui, perché stare ancora qui, avete fatto tutti i compiti.
D. Io volevo fare una domanda molto profana, terra, terra perché ho bisogno di un’idea perché voglio farmi un tatuaggio. Voglio chiederti una cosa, sono completamente a digiuno di taoismo, quando un’esperienza, un ciclo ci attraversa e ci lascia, lascia dei segni? Lascia delle rughe, per esempio? C’è un simbolo nel taoismo che raffigura questa bellezza? R. Quale bellezza? D. Dei segni che ci ha lasciato quest’esperienza nel ciclo che si conclude? R. Hai fatto una domanda difficilissima, non lo so. D. Un simbolo di questa bellezza che lascia un’esperienza che ci attraversa. R. L’idea dell’esperienza compiuta è che, più che lasciare un segno, lascia qualcosa che è più immateriale di uno segno, perché è la sua essenza. L’essenza profonda di ogni cosa è luce e la luce non è definibile perché non ha forma, se gli dai una forma già non è più questa cosa qui. D. Il prisma. R. Sì, l’idea del prisma, anche.
D. Posso un’altra domanda profana? R. Sì. D. C’è molto quest’idea, mi è piaciuta molto la volta scorsa, della necessità di attraversare un’esperienza per farla propria, poi lasciarla andare, però c’è molto anche, soprattutto in quella figura in cui c’erano questi tre centri (i tre Dan Dien). Si parte dal basso e si sale verso l’alto, mi sembra quasi che l’attrazione sia verso l’alto e quindi mi sembra di mancare un po’ di radicamento che invece mi sembra che sia il motore da cui tutto, parte. C’è un nodo che non mi è chiaro. R. Ci sono tutt’e due gli aspetti. A un certo livello, simbolicamente, dato che ciò che è più denso sta in basso e ciò che è più etereo, sottile sta in alto, c’è quest’idea che il processo d’evoluzione è qualcosa che va dal basso verso l’alto, però, specificatamente nella tradizione alchemica, c’è molto più l’idea della circolarità. Ti faccio l’esempio rispetto a questi tre Dan Dien, anche come tecnica. Nella tecnica meditativa di base, nella tradizione taoista, che è quella che viene chiamata l’orbita microcosmica, si fa salire l’energia verso l’alto e poi si fa riscendere verso il basso. Per l’uomo la si fa salire da dietro e la si fa scendere davanti, per la donna la si fa salire davanti e la si fa scendere da dietro. Non c’è soltanto il portare su, c’è il far circolare, nel suo percorso. C’è quest’idea che mi connetto con l’energia del cielo ma anche con quella della terra. In un altro senso, in un altra ottica, l’andare verso l’alto è andare verso la leggerezza, però andare nella leggerezza usando la densità, non negando la densità. I due principi ci sono entrambi. Quest’idea della circolarità, ma anche quest’idea di diventare sempre più leggeri. Se vuoi, applicato a un termine un po’ più concreto, c’è quest’idea: io uso la mia fisicità, la mia materialità, che vuol dire anche molto la mia sessualità, in senso lato, perché è qui in basso e quello c’è, la muovo verso quello che abbiamo chiamato il centro medio, il Qi, e diventa relazione, ad esempio l’attrazione tra due sessi. Come agisco quest’attrazione verso l’altro sesso? Posso farlo in tanti modi, pur usando la mia fisicità. Posso usarla per avere sesso, droga e rock and roll, come si usava cento sessant’anni fa quando ero giovane io, si può usare per fare dei figli, si può usare per violentare qualcuno, si può usare per avere un amore platonico, la sento ed è leopardiana, soltanto. Sono tutti modi in cui sto usando quest’energia diversamente, secondo come la uso, ho qualcosa che mi torna indietro. Nel momento in cui la mia esperienza, nell’usare quest’energia, diventa consapevole, sono indotto a cambiare come la uso. La puoi usare in modo molto violento, finché a un certo punto ti rendi conto cosa sta combinando questa violenza, allora senti che la vuoi cambiare e la usi magari per dirigerla verso una sessualità che è meno violenta, c’è sempre questa componente piuttosto aggressiva, ma che è diretta, non so, verso una relazione di passione per una donna e anche di amore. Avendo questa passione per quest’altra persona a un certo punto nel processo di consapevolezza senti è qualcosa che non ti basta più. Sì, ok, sono trecentosessantacinque giorni che facciamo l’amore con passione tre ore al giorno. A un certo punto, ho voglia di fare un figlio con questa persona, sto cambiando come sto usando quella sessualità, faccio un figlio, ne faccio due, ne faccio tre, ne faccio sette. A un certo punto sento il bisogno di cambiare ancora come vivo questa sessualità. A un certo punto posso cominciare a sentire: ma perché dirigerla verso una donna sola, sono tutte persone molto affascinanti ma non posso dirigerla fisicamente verso tutte le donne, quindi incomincio a diventare contemplativo nella mia sessualità. È un altro modo, ancora, di usare la sessualità oppure dico: donne basta, dirigo questa mia energia vitale per creare, non figli, infatti, una squadra di calcio è più che sufficiente, ma per creare opere d’arte. Sto sempre usando quest’energia per cose diverse e vado verso forme “più leggere” d’energia, ma lo posso fare dopo che ho fatto l’esperienza, dopo che sono diventato consapevole, dopo che ho sentito esaurirsi, compiersi un dato aspetto. Se no, posso astenermi, ma l’ho sempre in mente, a volte capita. Uno decide magari di farsi monaco, io racconto sempre, vent’anni fa, quando praticavo il buddismo, avevo conosciuto questo italiano che si è fatto monaco buddista a ventuno anni, era diventato anche una figura molto importante del buddismo internazionale, una bellissima persona, e a quarantadue anni s’è innamorato di una donna e ha lasciato l’abito monacale ed è andato con questa persona. C’era qualche cosa che doveva essere ancora vissuto, c’era qualcosa non compiuto. Possiamo cambiare, trasformare come usiamo questa energia. L’importante è sentire quando qualcosa s’è compiuto, di solito abbiamo dei segni, che a volte non abbiamo voglia di sentire.
D. In questo processo c’è anche l’aspetto circolare, quindi da Shen a Jing? R. Io uso la mia sessualità, si dirige in un certo modo con una certa consapevolezza, nel momento in cui cambia la mia consapevolezza, cambia il modo in cui dirigo la mia sessualità. Faccio esperienze diverse che modificano la mia consapevolezza che quindi ridirige l’energia in un modo diverso. D. È come modificare un po’ il Po, da un certo punto di vista. R. Sì, esatto. Vediamolo col cibo. Il cibo è un gran bisogno di base della vita. Otto panini di Mc Donald al giorno, ah! come mi sento bello nutrito, poi qualcosa dentro mi dice che devo cambiare qualche cosa, allora dirigo verso un altro bisogno il bisogno di cibo, lo soddisfo in un modo diverso, poi in un altro, poi m’informo, poi mi documento, faccio esperienza, relazione. Divento vegetariano, divento crudista, divento vegano, divento carnivoro crudista, seguo la dieta paleolitica, seguo la dieta neolitica, faccio delle esperienze, faccio degli errori, delle prove fin che gradualmente cambio. C’è l’idea che ognuno di noi, evolve, a volte più rapidamente, a volte più lentamente o ancora, se volete essere più taoisti, ma chi giudica cos’è lentamente e cos’è rapidamente? Una volta il maestro Jeffrey Yuen ha detto: chi può dire cos’è l’illuminazione? Magari un essere è arrivato al compimento totale, nel momento in cui muore, sente però che vorrebbe ancora un respiro e così muore. Solo quello gli manca alla perfezione. La vita dopo nasce come larva di mosca, col caldo si dischiude. Zzz, una persona batte le mani e uccide la mosca. Ha fatto l’ultimo respiro per essere completamente illuminato. Non giudichiamo troppo cos’è un essere evoluto, illuminato o no, però facciamo il nostro percorso questo è un po’ il messaggio che c’è dietro.
D. Io non ho capito una cosa, è il mio primo approccio al taoismo, non ne so nulla, m’incuriosiva questa cosa. Se la vita è una via, comunque, noi la strada che stiamo imboccando è quella che “era prevista” o comunque diciamo “è da fare” oppure possiamo essere completamente fuori strada in quel momento o tutta la vita dall’inizio alla fine? Poi un’altra cosa, nel corso di questa vita e quindi di questo percorso, di questa strada, come il taoismo interpreta la malattia inabilitante che, in un certo senso, rende impossibile il raggiungimento di una missione, lo svolgimento della missione e quindi il raggiungere un obiettivo, se esiste un obiettivo? Poi il troncamento prematuro di una vita, un bambino che muore è una vita che ha fatto fare dei passi a quell’anima? R. Spero di ricordarmi tutte le domande, partiamo dalla prima, me la ridici un attimo ancora? D. La prima era il discorso se esista il fuori pista o se si è sempre sulla carreggiata. R. L’idea è questa, che anche qui ci sono due componenti, che in termini occidentali è destino e libero arbitrio. Da un lato, in qualche modo, ogni vita è, come dire, pre impostata, questo è il concetto di destino perché c’è un certo percorso, ma allo stesso tempo questo percorso si definisce, compiendolo. Secondo come vivo il momento, modifico, dove sta andando il mio cammino, quindi c’è una componente che prescinde da noi, ad esempio, i nostri genitori, certo si dice anche che abbiamo scelto i nostri genitori, però se poi decidiamo di cambiarli non si può, la nostra nazionalità, il luogo in cui siamo cresciuti. L’idea è questa, io faccio quest’esempio, è come se tu viaggi, supponiamo, su un percorso e viaggi con qualcuno, magari. Sei un pilota di rally che viaggia insieme con qualcuno, hai idea di dove stai andando, hai idea di certi rischi che sono già sul percorso perché sai che ci sarà il deserto, sai che ci sarà la montagna, sai che ci saranno delle zone in cui la strada sarà scivolosa. Questo è quello che è impostato, ma il fatto che tu scivoli in un burrone o il fatto che t’infossi nella sabbia o il fatto che tu riesca a passarci, dipenderà da come tu agisci l’evento in cui ti trovi. Non è tanto importante quello che ci sta per accadere, ma come noi reagiamo a quello che accade, è questo che cambia. Secondo di come reagiamo a quello che accade, quello che accadrà, cambia. È la stessa idea che c’è nella tradizione più induista e buddista del karma. Da un lato c’è quest’idea che, come noi stiamo agendo adesso, è il risultato di tutto il nostro passato, però nello stesso tempo il modo in cui agiamo in questo momento crea le premesse di come sarà la nostra azione futura. Se tu sei un ragazzino oppure se tu sei un bambino, questo esempio lo facevo durante il week-end, e tuo padre ti picchia, ha quest’abitudine di picchiarti, magari anche perché ogni tanto è ubriaco, questo è l’evento in sé. Tu come rispondi a questo evento? Potresti rispondere, a tua volta, picchiando tuo figlio, quando ne avrai uno, o potresti rispondere che, proprio perché hai subito quello, non picchierai mai tuo figlio. C’è un evento, ma il modo in cui rispondiamo all’evento, cambia il nostro destino. Questo è il potere che abbiamo in noi, perché l’evento è qualcosa che, magari, può essere determinato, ma non è determinata la nostra risposta all’evento. A volte abbiamo il fuori pista, perché non sappiamo come rispondere. Rispondiamo in un modo che ci allontana, a volte, rispondiamo in un modo che ci avvicina, questo fa parte del percorso. La seconda domanda? D. È la malattia e la morte prematura. R. Non chiedetemi di dare una risposta su questo perché fa parte di quello che è un mistero che si può soltanto contemplare. L’idea è che ogni evento della vita abbia un suo senso e anche quelli che ci sembrano in qualche modo mostruosi, ad esempio, tu menzionavi le vite brevi. Secondo diverse tradizioni, non soltanto in quella taoista, c’è quest’idea che una persona, che vive una vita breve, per esempio muore da bambino, può essere, un po’ come la mosca che dicevamo prima, che non abbia bisogno di fare grandi esperienze della vita. Qualcuno potrebbe dire: è morto che aveva dodici anni, non ha potuto avere una famiglia, non ha potuto viaggiare e vedere il mondo, non ha potuto scoprire l’amore per la persona dell’altro sesso, quante cose meravigliose gli sono state negate. Uno potrebbe dire, forse ne ha già avuto un mucchio nelle vite precedenti, le avete già vissute queste cose. Aveva già visto un mucchio di città, un mucchio di capitali, un mucchio di donne o di uomini, non ne aveva più bisogno in questa vita, questa è una lettura. Tu potresti anche rispondermi ok, ma per i genitori che hanno un figlio che muore giovane? Lui sarà anche contento, ma i genitori? Una lezione un po’ spietata è pensare che era qualcosa che serviva per la loro evoluzione. Riconosco tutta la difficoltà di accettare una cosa del genere. Ci sono cose ancora più vaste. Perché ci deve essere un terremoto che uccide delle vittime innocenti. Quando abbiamo fatto la prima lezione, abbiamo detto: nella visione taoista non ci sono vittime innocenti, ci sono percorsi che possono, per noi, risultare incomprensibili. Questo l’ha detto non un taoista ma un cristiano: qual è la presunzione che abbiamo noi di pensare come sarebbe giusto il mondo? Dobbiamo, un pochino, accettarne il mistero. È qualcosa che davvero non possiamo andare a capire, però possiamo pensare che abbia un senso, questo forse sì, oppure possiamo dire che certe cose per noi non hanno un senso. Io, a volte, ho questa sensazione, non riesco a trovare il senso di certe cose. La malattia però, ad esempio, che è un campo che conosco un pochino meglio, non tanto perché io sia stato molto malato, anche se ho avuto le mie, ma perché è anche il mio campo di lavoro. La malattia è qualche cosa che ci spinge, a volte, un po’ brutalmente a cambiare. Spesso ho avuto modo di vedere persone che sono cambiate e si sono evolute molto, grazie il fatto di essere passate attraverso la malattia, ovviamente uscendone dall’altra parte, come dicevamo prima. È un percorso che, a volte, può essere molto duro, a volte, uno dei percorsi della malattia è anche morire. D’altronde tutti noi moriamo, prima o poi, c’è anche questa caratteristica. In questa visione non c’è l’idea, quando c’è una malattia, di tornare come si stava prima perché è come stavi prima che ti ha portato nella malattia, ma c’è il discorso di andare avanti, non soltanto per la malattia fisica. Adesso nella relazione con lui o con lei va così male, vorrei tornare a com’era due anni fa, ma era com’era due anni fa che ti ha portato a com’è adesso. Se per magia qualcuno fosse davvero in grado di portarti lì, due anni dopo ti ritroveresti dov’eri. Dici no, perché io sono cambiato, allora non sarebbe più la stessa relazione. Questo è il senso di cambiare e di trasformarci, anche se, a volte, può essere dura la lezione. Perché, a volte, la vita sia così spietata con alcuni, non lo so. Con alcuni è più dolce, con alcuni è più spietata. A volte la vita ci dà piccoli scappellotti, a volte ci butta giù per dei dirupi.
Siamo andati avanti abbastanza a lungo, d’altronde l’argomento stimolava. Spero sia stato interessante per tutti voi, ringrazio ancora per aver partecipato, c’era un foglio che circolava per chi voleva lasciare una e-mail, nel caso vorreste essere informati su sviluppi futuri, se qualcuno non l’avesse fatto e avesse voglia di farlo prima di andare via può mettere il suo nome con l’e-mail o un telefono, quello che volte.
D. Ancora una delucidazione, faccio fatica a capire la differenza tra la Via dell’accettazione e la Via dell’alchimia, mi sembra come che non ci possa essere una se non c’è l’altra, magari è così. R. Sì, puoi vederla anche così. In un altro modo puoi dire che nell’accettazione prendo le cose come sono, nella via dell’alchimista cerco di vederle da un’angolazione diversa, che può essere un altro modo di accettarle come sono, però c’è un processo di trasformazione e c’è meno l’accettazione.
Grazie e arrivederci.