Verso il Solstizio d’Inverno


Sono nato nella profondità buia di dicembre, un momento in cui la natura si ripiega su se stessa e il confine fra vita e morte sembra così sottile, quasi impalpabile. Le notti sono lunghe, molto lunghe. C’è (o dovrebbe esserci) una condizione di quiete, di arresto, di pausa, di riflessione, e di freddo; c’e anche il senso che qualcosa finisca, muoia. Sembra che tutto si fermi. Il buio e il silenzio sono i due temi dominanti di questo mese. La natura si prepara alla morte per poter poi rinascere con il solstizio d’inverno. E noi?
Se non riusciamo a passare del tempo fuori dalle città, immersi nella natura, è molto difficile riuscire ad entrare in contatto con questo stato di quiete e arresto. Nelle città, come nelle case, la luce continua a brillare a dispetto delle giornate corte e delle notti lunghe; l’attività lavorativa non si riduce come avveniva nelle culture agricole, anzi si è spesso presi dalla frenesia di dover portare a termine chissà cosa con la fine dell’anno; che non è mai una fine e che quindi non può dar luogo poi ad un vero inizio. Ma se riusciamo a stare soli nella notte a guardare il cielo in un luogo senza illuminazione, possiamo sentire questo senso di fine, questo bisogno di lasciare che le cose si compiano senza che noi facciamo nulla.
Un anno sta finendo, e con l’anno tutto ciò che ha rappresentato per noi. Spesso la gente fa progetti per l’anno nuovo: propositi, idee di rinnovamento, cose da fare e vivere. Ma non è possibile avviare qualcosa di nuovo se prima non si lascia morire il vecchio. Ma noi siamo disposti a guardare dentro di noi e vedere cosa va eliminato?
Dicembre ci invita a questo: a lasciare che qualcosa si compia, a consentirci di chiudere i conti con l’anno vecchio, a chiudere i conti con il nostro vecchio Sé, a chiudere i conti con tutto ciò che percepiamo come non più vitale per noi. Dicembre è tempo di bilanci, è tempo di fare l’inventario e vedere cosa va portato nell’anno nuovo e cosa lasciato andare. Ma per poter lasciar andare dobbiamo essere in un atteggiamento di raccoglimento, non si può svuotare la tazza mentre la stiamo riempiendo di altre cose.

Anche se non abbiamo la possibilità di immergerci nella natura e farci aiutare dalla sua qualità di buio e silenzio, proviamo una sera a lasciare le luci spente in casa, a immergerci nel buio, a lasciare che la notte ci avvolga, e con lei il silenzio. Proviamo a stare semplicemente nel buio in silenzio, tenendo dapprima gli occhi aperti e lasciando poi che si chiudano, e chiudendosi portino dentro di noi il buio e la quiete che abbiamo percepito fuori. E restiamo in ascolto.
E’ facile che si senta un senso di disagio che può anche diventare sgomento o paura: il freddo, il buio, il silenzio possono davvero sembrare troppo per noi. Perché abbiamo paura o perlomeno un senso di disagio e di irrequietezza anziché di calma? Perché facciamo così fatica a stare fermi e zitti per un po’?
Davanti a noi possono scorrere emozioni e immagini come in un film che non possiamo programmare: le situazioni irrisolte di un anno, i conflitti che abbiamo vissuto e ancora stiamo vivendo, un senso di frustrazione o di solitudine, o di smarrimento e di perdita dei confini, o di fallimento, una forte voglia di piangere senza avere nessuno con cui piangere, o il desiderio che alcune cose fossero andate diversamente da come sono andate. Possiamo allora guardare a tutto questo e chiederci che cosa possiamo fare per tutte queste emozioni e situazioni e la risposta ci viene dalla natura e dal silenzio: “non ci possiamo fare niente”. Cosa può fare l’albero per i suoi rami che sono spogli nel freddo dell’inverno? Cosa possono fare gli animali selvatici rintanati e con poco cibo? Cosa può fare l’acqua gelata nelle pozze? Niente. A volte rendersi conto di non poter fare nulla, anche se dapprima appare inquietante, può alla fine darci un senso di pace; la stessa pace che la natura trasmette nel gelo delle notti invernali. E allora possiamo renderci conto che non fare niente in realtà non è affatto non fare niente, come per la natura, ma semplicemente consentire che le cose seguano il loro corso; e accettando quello che è stato, accettando ciò che è compiuto e anche ciò che è ancora incompiuto, possiamo allora avere accesso a delle risorse che non pensavamo di avere, ad una potenza che è quasi infinita, la stessa potenza che dal gelo dell’inverno consente al seme di crescere e di fiorire e all’acqua di tornare a scorrere.