Il cammino che ci attende e i tre Dan Dien

Il cammino che ci attende e i tre Dan Dien | lavoro su di sé o percorso di crescita personale, “imparare a navigare meglio nella vita” | Articolo di Franco Bottalo

In quello che possiamo definire lavoro su di sé o percorso di crescita personale, possiamo individuare due aspetti complementari ma molto diversi fra di loro.

Un primo aspetto potremmo definirlo come “imparare a navigare meglio nella vita”. Non ha a che fare con l’aver capito la vita, con il sapere dove si sta andando e perché. Anche se non ci è affatto chiaro verso dove stiamo navigando ed il motivo per cui lo stiamo facendo, cerchiamo di rendere questo viaggio migliore. E per renderlo migliore da un lato impariamo ad usare meglio le risorse che la vita ci ha dato per compierlo e dall’altro cerchiamo di capire meglio l’ambiente in cui questo viaggio ha luogo; ambiente fisico, sociale e relazionale.

A mio avviso la maggior parte dei lavori che si fanno su di sé rientrano in quest’area: imparare ad usare meglio gli strumenti che abbiamo per muoverci nel mondo e proseguire nel nostro viaggio. Strumenti come alimentarsi in un certo modo, curare la propria igiene fisica e mentale, praticare discipline per la conservazione del proprio corpo fisico ed energetico, dormire adeguatamente, prendersi cura di sé nella malattia. Tutto questo è associato molto al nostro Dan Dian inferiore, sede delle nostre risorse e della loro gestione al meglio nel processo di vivere.

Ma in questo aspetto abbiamo anche il fatto di imparare meglio a gestire le relazioni sociali ed affettive, e attraverso di loro capire aspetti di noi che non ci erano chiari o che avevamo occultato o rimosso. E tutto questo ha a che fare con il secondo Dan Dien, associato al petto, alla nostra interrelazione con il mondo.

Il secondo aspetto della crescita personale è poi quello di acquisire una maggior consapevolezza di dove stiamo andando e perché. Questa consapevolezza non va intesa come una conoscenza teorica che ci sia stata trasmessa dagli insegnamenti di testi e di Maestri (“Faccio il volere di Dio”, “porto a compimento un lavoro incompiuto”, “lavoro per liberarmi dalla ruota karmica delle reincarnazioni” …), ma una consapevolezza esperienziale. Perché questa fatica universale di nascere, soffrire e poi morire? Perché passare attraverso tutte le difficoltà di esistere? Perché il mondo è pieno di cose che ci appaiono orribili? Come tutto ciò che accade nel mondo può avere un senso per il nostro percorso di crescita e quello di tutti gli altri esseri viventi?

Risposte ne sono state date tante, dalla religione e dalla filosofia, e a volte ci prova anche la cosiddetta scienza; ma non servono a nulla. Non è questione di imparare qualcosa, ma di sperimentare qualcosa; non è questione di capire ma di conoscere. Il capire viene da qualcosa che ci è stato detto o che abbiamo letto, qualcosa che viene dall’esterno. La conoscenza nasce dall’interno e non è, nella sua essenza, comunicabile e trasmissibile, proprio perché è frutto di un percorso interno di esperienza personale. Un conto studiare dove è il Brasile, chi vi vive e com’è la natura lì e un conto è essere stati in Brasile. Molto spesso le persone parlano di ciò che hanno studiato e non di ciò che hanno sperimentato, perché di ciò che si sperimenta è difficile parlare. Se siete profondamente innamorati vivete il vostro amore, non ne parlate tanto e chi ne parla tanto probabilmente è perché lo vive poco. E anche se provate a parlarne, molto facilmente lo comprenderà solo chi ha già sperimentato l’amore. Descrivere la neve o anche mostrare delle foto della neve a chi non sia mai stato in un luogo con la neve non riuscirà a rendere l’idea di cosa sia davvero la neve; ma se parlate a qualcuno che ha vissuto nella neve basterà una parola perché conosca cosa state vivendo voi ora.

Per questo sono convinto che sia solo lavorando sul primo aspetto che abbiamo descritto che si possa accedere al secondo. Modificando il modo in cui viaggio, vedo cose che prima non vedevo. Il sentiero è quello, ma ciò che trovo sul sentiero è diverso. E’ l’attivazione del terzo Dan Dien, del terzo occhio: una visione più allargata del percorso che stiamo facendo. Anziché vederlo dalla cima di un bassa collina, lo vediamo dalla vetta di un monte.

E non è detto che questa visione sia confortante o rilassante. Più spesso è sconvolgente e destabilizzante. Magari finché eravamo sul sentiero ci dicevamo “manca poco per arrivare”, ed ora che siamo su di una vetta vediamo l’incredibile estensione della strada che ci aspetta ancora lì sotto di noi con tutte le altre cime che dovremo scalare e poi scendere. Può darsi allora che ci prenda lo sconforto: tutto è troppo e troppo non è abbastanza.

L’espansione della consapevolezza non è una cosa dolce e carina; è qualcosa di devastante. Devastante per le illusioni che avevamo creato e di cui ci nutrivamo.

Ed è qui che allora diventa fondamentale ciò che abbiamo coltivato con il primo punto. Sentiamo le risorse che la vita ci ha dato e che abbiamo diligentemente coltivato. E allora ci alziamo in piedi, mettiamo lo zaino in spalla e ci prepariamo al cammino che ci attende.