Contatto con la natura e senso del mistero

Si parla tanto del fatto di essere in contatto con la natura, e questo proprio in un periodo storico qual è il 21 secolo, che non consente molto e a molti di essere in contatto con la natura: viviamo per lo più in città fittamente abitate e trafficate, da dove riusciamo a mala pena a vedere il cielo, peraltro raramente limpido. Anche il nostro modo di lavorare ci mette poco in contatto con la natura: chiusi in uffici, seduti davanti ad un computer o perennemente in viaggio dentro ad un’auto. E tutti pensiamo a quanto sia bello poter essere in contatto con la natura e ci facciamo un’idea della natura che spesso ha poco a che fare con ciò che davvero essa è. Un po’ come accade per una persona che sentiamo di amare molto, ma che è lontana da noi e non vediamo mai: ci costruiamo un’immagine di lei basata sul nostro desiderio, piuttosto che su di una conoscenza e delle frequentazione reali. Per questo penso sarebbe molto utile a tutti immergersi davvero nella natura, almeno ogni tanto.
La prima cosa di cui possiamo renderci conto facendolo, è che la natura non è la favola che siamo soliti raccontarci; la natura non è una cosa dolce e buona che ci accoglie e coccola, come possiamo aver sperimentato stando stesi al sole d’estate su di una spiaggia o in montagna, o ascoltando un venticello primaverile con farfalle sui fiori e uccelli che cinguettano. Possiamo renderci conto che la natura è una forza immensa, dotata di una sorta di “impersonalità” che tende a travolgere e sconvolgere ciò con cui viene in contatto.
Possiamo osservare ad esempio, che il tenero gattino dagli occhi profondi è, dal punto di vista umano, “spietato” con il topo o con la cavalletta con cui gioca e che poi mangia; possiamo vedere che il fiume che scorre placido diventa per noi spaventoso e fonte di morte nella sua piena travolgente, possiamo vedere che una pianta compete con l’altra per la sopravvivenza: che l’edera per vivere stritola l’albero su cui cresce. Vediamo questo ed altro e siamo sconcertati; tutto questo non risponde a quello che ci eravamo immaginati; a quello che ci avevano raccontato o che forse ci siamo raccontati da soli. La natura non è una cosa carina che possiamo usare a nostro comodo o in cui ci possiamo accomodare;
con cui la stiamo guardando, e anche in funzione del momento in cui la stiamo guardando; qualcosa di incontrollabile, ingestibile, qualcosa che incute meraviglia e timore allo stesso tempo. Provare ad essere in un bosco di notte, o in alta montagna dove finisce la vegetazione, o in aperto mare su di una piccola imbarcazione, o ai margini del deserto, ci può portare ad uno stato di panico per qualcosa che pare sovrastarci e minacciare la nostra sopravvivenza fisica.
Abbiamo la tendenza a voler definire il mondo attorno a noi in termini di “buono o cattivo”, ma la natura non è ne buona ne cattiva, la natura semplicemente è. Risponde ad un disegno, ad una logica, che non è comprensibile se stiamo nei parametri di valutazione umana. In realtà forse non ha proprio senso cercare di comprendere la natura, cercare di trovarvi una qualsiasi logica e senso e riconoscere invece che risponde a qualcosa che è oltre la comprensione umana.
Possiamo provare allora a guardare la natura con occhi diversi, senza cercare il giusto e sbagliato, il buono e il cattivo, il corretto e lo scorretto, e piuttosto a considerarla in termini di “potenza”.
Se riusciamo a farlo, possiamo osservare che si generano in noi alcune sensazioni.
1) La prima sensazione e appunto quella di un potere enorme, così enorme da far paura. Ci sentiamo smarriti, piccoli e impotenti. Ci rendiamo conto di non essere in una dimensione umana, ma gigantesca; la natura non è a misura d’uomo, è a misura d’infinito. A livello fisico potremmo provare un senso di oppressione a livello del torace che ci toglie il respiro, e la livello psichico la sensazione di un pericolo incombente attorno a noi, da cui dobbiamo proteggerci e da cui non possiamo proteggerci; sentiamo di essere immersi in qualcosa di molto più vasto di noi e su cui non abbiamo alcuna possibilità di controllo.
Spesso, appena si percepisce questa sensazione, si cerca “una via di fuga”: possiamo semplicemente allontanarci dal luogo, oppure accendiamo una torcia o, più consono ai tempi moderni, ci connettiamo con il nostro cellulare a qualcuno o a qualche sito, cercando di “umanizzare” l’ambiente naturale in cui siamo. Se però riusciamo ad astenerci da tutto questo e sostenere la nostra paura e il nostro disagio, possiamo forse entrar nella seconda fase.
2) La seconda sensazione, se si è riusciti a stare nella prima senza fuggire in qualche modo, è di un immenso potere “a disposizione”. Essendo riusciti a lasciare andare l’idea di dover definire e controllare qualcosa, ecco che possiamo entrare in reale contatto con questo qualche cosa.
3) La terza percezione è di scoprire di che se è vero che non possiamo controllare la natura, possiamo però controllare noi stessi nella natura, e facendolo ci rendiamo conto che la natura può essere una forza a nostra disposizione per i nostri intenti: la potremo utilizzare, ma mai domare o controllare. Dobbiamo abbandonarci alla natura perché la natura accetti di essere “cavalcata” da noi.
Se riusciamo a stare in contatto con la natura nel modo appena descritto, questa diventa allora una importante scuola di vita; un modo per conoscere in modo molto concreto e diretto la vita e le sue manifestazioni.
Educarci a questo, può allora portarci ad osservare con occhi completamente diversi anche un altro tipo di manifestazione della natura, molto più vicino a noi, ma spesso altrettanto sconosciuto e mal compreso: il nostro corpo.
Anche rispetto al nostro corpo abbiamo una visione che spesso riflette schemi indotti dalla società o dalla nostra specifica educazione, che poco hanno a che fare con quello che esso è realmente. Anche il corpo, come la natura di cui il corpo è parte, è una forza immensa che ci spaventa e che per questo cerchiamo di controllare; ma purtroppo spesso la controlliamo nel senso di impedirle di manifestarsi per ciò che è e per quello che ci vuole dire.
Spesso il corpo non si comporta come noi vorremmo e questo ci turba. Così come vorremmo sempre giornate di sole e farfalle sui fiori, così vorremmo un corpo docile e tranquillo che non ci dia mai problemi. Spesso basta lo sfogo di un’influenza o alcuni brufoli per turbare il nostro senso di equilibrio e armonia. Non è nemmeno necessario che si tratti di una malattia, di un disagio: anche un potente desiderio sessuale o la sua totale assenza possono turbarci, oppure la sensazione di avere troppa energia e non saperla controllare, o al contrario sentirci sopraffatti da una grande stanchezza. Il corpo e la natura ci parlano, ma spesso non stiamo ad ascoltarli perché non ci raccontano la storia che abbiamo scritto per noi stessi. Non vorremmo cose forti, vorremmo tinte pastello; ma il nostro corpo è tutta la tavolozza dei colori, incluso il nero, il rosso fiammeggiante e il bianco accecante; di nuovo come la natura.
Se riusciamo ad andare oltre questo primo istintivo rifiuto, questa prima negazione di ciò che è per quello che è, allora possiamo riuscire a penetrare la forza incredibile che c’è nel nostro corpo e capire come controllarla. Utilizziamo qui il termine controllo in un’accezione totalmente differente da quella in cui l’abbiamo usato prima: controllare non come bloccare la manifestazione di ciò che ci appare ignoto e pauroso, ma controllo come la nostra capacità di usare quelle forze ignote e in sé ingovernabili per guidare la nostra vita. L’esempio più ovvio è la malattia. Sentiamo che il corpo ci ha traditi, ma spesso siamo stati noi a tradire il nostro corpo. Vediamo il fiume in piena che allaga le case e ci sentiamo traditi dalla natura, ma spesso il fiume in piena è la risposta a qualcosa che noi abbiamo agito prima: un costruire selvaggio che non ha tenuto conto della natura del luogo, un disboscamento esasperato e altro ancora. Il nostro corpo pare tradirci, ma siamo noi ad averlo tradito, pensando che fosse un canarino in gabbia che canta per noi e non un falco per volare lontano e alto.
Con il termine corpo intendo qui non solo il corpo fisico, ma anche quello energetico e quello psico spirituale, e cioè tutto il nostro essere. Il nostro corpo, come la natura, rimane un mistero; possiamo cercare di capire come funziona, come si ammala e come si ripara; ma difficilmente possiamo penetrare il mistero del perché si cura e si ammala. Ogni teoria e pratica, anche se sembra definire il perché, in realtà spiega piuttosto il come; che si tratti della visione occidentale moderna o del pensiero classico cinese antico, greco, indiano o altro, siamo sempre nell’abito del come si attivano determinati meccanismi, non del perché. Il perché è un tutt’uno con il penetrare l’origine stessa delle cose e non è qualcosa di definibile in modo standardizzato; può esser percepito solo momento per momento e reinventato ogni volta.
Si tratta allora di “abbracciare il mistero”. In un abbraccio vi sono tre caratteristiche essenziali: un senso di fiducia, un senso di abbandono e, ultimo, un senso di poter essere nutriti da quell’abbraccio. Questo è esattamente quello che dobbiamo fare, e anche l’unica cosa che possiamo fare, quando entriamo in contatto con il mistero: abbracciarlo, aprire le nostre braccia fiduciosi rispetto a quello che la vita ci sta offrendo, anche se nel nostro giudizio del momento ci può parere una cosa terribile. L’alternativa è di ritrarci da mistero, di ritrarci dallo spazio infinito per stare nel conosciuto, nel certo e nel definito; stiamo allora nella ricerca di cose che, limitando e riducendo, ci rendano il tutto più “controllabile”, più familiare, meno pauroso. Ci ritraiamo dalla natura e ci ritraiamo dal nostro corpo e da quello che ci sta dicendo: conteniamo l’ansia con dei farmaci che prenderemo per tutta la vita, con altri farmaci stimoliamo il nostro desiderio sessuale giudicato carente, sfuggiamo dalla menopausa con estrogeni per prolungare il ciclo mestruale. Ci limitiamo a contattare la natura in luoghi “addomesticati”, come il giardino e i parchi di città; imbrigliamo i fiumi con argini di cemento e gli animali preferiamo vederli nei filmati, piuttosto che nella realtà.
Abbracciare il mistero vuol dire riconoscere nel contempo la propria piccolezza e la propria grandezza, riconoscere che comprendere è sì un aspetto fondamentale del vivere, ma che dobbiamo riuscire ad abbandonare la conoscenza acquisita per aprirci a nuovi orizzonti e dimensioni. Dobbiamo uscire dal conosciuto per abbracciare l’ignoto, dobbiamo perderci per poterci ritrovare ad un livello più espanso di consapevolezza. Cambiano i nostri occhi che guardano il mondo e, sorprendentemente per noi, scopriamo che così facendo cambia il mondo.
La natura diventa allora lo strumento prezioso che, aprendoci all’infinito, ci consente di scoprire l’infinito che è in noi.