Sfamare le nostre emozioni

Sentiamo montare dentro di noi uno stato d’ansia quasi incontrollabile; sentiamo il torace che si costringe, lo stomaco che si chiude, forse ci gira un po’ la testa o abbiamo una leggera nausea, nausea per la vita o forse per noi stessi. Sentiamo un disagio profondo, ci viene da piangere, da soffocare e vorremmo essere via; via da cosa? Da noi stessi probabilmente. Sentiamo che è troppo, sentiamo di non potercela fare; cerchiamo una causa per il nostro stato d’ansia e la troviamo e ci diciamo che risolta quella situazione l’ansia se ne andrà; ma ad un livello più profondo sappiamo che è quando risolveremo la nostra ansia che la situazione cambierà.
Sentiamo montare dentro di noi una collera incontrollabile e abbiamo paura di quello che potremmo agire o dire; anche qui sentiamo che siamo arrabbiati con qualcuno o qualcosa, ma ad un altro livello sappiamo che quel qualcosa o qualcuno sta solo tirando fuori delle cose che abbiamo dentro.
Siamo tristi al punto di essere depressi: nulla di quello che stiamo facendo ci soddisfa, nulla ha un senso per noi e non riusciamo nemmeno ad immaginare una via di uscita; non riusciamo nemmeno ad immaginare che qualcuno possa aiutarci e tantomeno che noi possiamo aiutarci.
Spesso quando i testi e i Maestri parlano di “confrontarsi con le proprie emozioni”, può sembrare una bella favola: siamo lì, sentiamo le emozioni che si manifestano in noi, le osserviamo e loro si dissolvono lasciandoci un’arricchita consapevolezza di noi stessi e del mondo. La dura realtà è spesso molto diversa. Abbiamo paura delle emozioni che montano in noi, le sentiamo come qualcosa di minaccioso e distruttivo, o qualcosa di cui ci vergogniamo, o ancora qualcosa che ci pare non abbia nulla a che fare con il nostro sé. Eppure sono lì, con tutto l’imbarazzo e il fastidio che generano; e allora quello che davvero abbiamo voglia di fare è semplicemente eliminarle, farle sparire, annientarle. Non ci interessa confrontarci con la nostra ansia, semplicemente non vogliamo essere ansiosi; non ci importa essere in contatto con la nostra collera, vogliamo essere calmi.
E’ davvero difficile accettare di stare con le nostre emozioni quando queste sono così forti, così “minacciose” per il nostro sé. Finché si manifestano con tinte pastello riusciamo forse a guardarle per quello che sono e a lasciarle andare, ma quando sono un temporale con fulmini e grandine tutto quello che vorremmo fare è trovare un luogo sicuro e protetto in cui rinchiuderci aspettando che siano passate. E’ un po’ come per una malattia fisica: finché è moderata riusciamo ad usare la nostra consapevolezza per confrontarci con lei e affrontarla per quello che è, ma quando diventa soverchiante ci sentiamo nel contempo sopraffatti dalla vita e traditi dal nostro corpo (o dalla vita). Non riusciamo più a riconoscerci in quello che ci accade.
Cosa succede se proviamo semplicemente a stare dentro all’emozione che sta dilagando in noi? All’inizio è devastante: più accettiamo di essere in contatto con lei e più si prende spazio, evocando altre immagini e situazioni che nutrono ulteriormente quel particolare stato emotivo. Siamo ansiosi e l’ansia diviene panico, ci vengono alla mente altri motivi per cui essere ansiosi, abbiamo immagini del passato che evocano ansia. L’ansia sembra essere un animale grosso e feroce che aumenta la sua fame e ferocia dopo ogni preda che ha divorato. Per questo a volte dobbiamo metterle un freno, imbrigliare quella bestia feroce. Lo possiamo fare con dei farmaci, oppure mettendo da parte il tutto per quanto possibile e creare situazioni che vi diano contenimento; come mettersi nel lavoro, fare una passeggiata, occuparsi di altro, trovare un amico con cui parlare e altro ancora. Cerchiamo di non entrare in situazioni e pensieri che possano alimentare ulteriormente la nostra ansia.
Ma poi dovremo tornare a confrontarci con lei e chiederci che cosa la sta alimentando, che cosa in noi fa si che cresca e si espanda. Ha fame perché per lungo tempo non l’abbiamo nutrita sperando che morisse d’inedia, ma non è stato così. Allora ecco che dobbiamo “sfamare” la nostra ansia, la nostra collera, la nostra tristezza, e se riusciremo a farlo, e sarà un processo lungo e difficile, ci renderemo conto che quella cosa che abbiamo chiamato ansia, collera o tristezza, una volta sfamata diviene qualcosa di totalmente diverso, qualcosa che è lì per nutrirci e non per annientarci. Scopriremo che l’ansia diviene apertura del Cuore verso di sé e il mondo, che la collera diviene energia creativa e compassione per l’umanità, che la tristezza diviene consapevolezza di sé e sensibilità verso gli altri.
Non è affatto facile agire tutto questo e non è detto che dobbiamo per forza farlo; dobbiamo sentire di avere dentro di noi le risorse, o meglio dobbiamo riuscire ad essere in contatto con le risorse che certamente ci sono in noi. Se non ci riusciamo, per proteggerci dalla tigre feroce divora le pecore del nostro villaggio si erigono degli steccati. La vita procede abbastanza serena, ma con delle limitazioni: quando erigiamo una gabbia anche noi viviamo in gabbia. Poi nel villaggio cresce qualcuno di particolare che riesce a sfidare la tigre e ammansirla, non distruggerla, e da quel momento allora la vita del villaggio è più ricca e vasta, senza più bisogno di barriere e steccati.
E’ la leggenda di San Francesco che parla al lupo, o quella del Santo Taoista che cavalca il drago che aveva seminato il terrore nel villaggio e di tante altre storie ancora.
E’ un percorso lungo e impegnativo: bisogna saper da un lato continuare a curare il nostro orto protetto e dall’altro dare spazio in noi a nuove risorse che ci consentano di sentire quando è il momento di uscire allo scoperto e confrontarci con i nostri terrori, con i nostri fantasmi del passato; sentire quando è il momento di “aprire quella porta” che doveva restare chiusa, quando è il momento di portare luce nelle tenebre. Consapevoli che per fare questo dobbiamo però “sfamare le nostre emozioni”, e cioè portarle a completamento, consentir loro di esprimere tutto ciò che non gli abbiamo sinora consentito di esprimere, lasciarle urlare e gemere dentro di noi fino alla loro liberazione; solo allora la tigre feroce camminerà al nostro fianco come un’amica potente e coraggiosa.